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Kvaratskhelia e il ragazzino

Nell’abbraccio i ruoli si invertono. Kvara torna a essere il ragazzino che sogna in Georgia, il raccattapalle diventa quello che ha fatto gol

Kvaratskhelia e il ragazzino

Kvaratskhelia e il ragazzo

Kvara e il ragazzo e il ragazzo è Kvara. Non è un refuso, la prima E è congiunzione, la seconda è verbo, Kvara è Kvara, il ragazzo è un raccattapalle ed è pure Kvara. Ora sciogliamo queste frasi.

Quando Kvara – dopo una prestazione strepitosa: rigore procurato e due pali, l’assist arriverà dopo – segna finalmente il suo bellissimo gol, pausa; [Non dimenticheremo mai il tocco con cui salta Silvestri prima di segnare a porta vuota], fine della pausa, quando segna il suo bellissimo gol, dicevamo, impazzisce ed esulta come un ragazzino felice, è rabbia che cala a poco a poco, fino a diventare gioia, gioia piena. Che meraviglia. Oltre ai primi compagni che corrono ad abbracciarlo sotto la curva, arrivano alcuni dei raccattapalle, uno in particolare viene abbracciato come se fosse uno della squadra. E non è così? In quell’abbraccio io ci vedo un codice, un antico e, allo stesso tempo, moderno codice, che racchiude nella sua matematica tutti ragazzini appassionati del mondo, che a un certo punto, fuori da uno schema, nel momento in cui ogni mistero si risolve, dopo un gol, si somigliano tutti, e tutti hanno quella luce negli occhi. Luce, che i più fortunati di noi non hanno perduta. E Kvara e il ragazzino diventano una cosa sola, cosa sola confermata ancora a esultanza quasi finita. Kvara ritorna verso il campo e di nuovo gli si fa incontro il raccattapalle, lo stesso (ma se fosse un altro sarebbe uguale), Kvara gli prende le spalle e lo scuote di felicità. Stando alle emozioni di una serata saremmo già a posto così, e invece ne arriverà ancora qualche altra.

Nel momento in cui c’è l’abbraccio tra il raccattapalle e il fuoriclasse, i ruoli per un istante si invertono. Kvara ritorna a essere il ragazzino che sogna da qualche parte in Georgia, il raccattapalle prendendosi tutta la gioia del gol così da vicino diventa quello che lo ha fatto. Quel gol diventa tutti i gol che sogna di fare (e che gli auguro di fare). Ragazzino con il numero 77, ragazzino a bordo campo, io vi voglio bene, siete la stessa persona, quella che sognavamo di diventare, sì, vabbè, poi non ci siamo riusciti. Ci riescono in pochi, perciò è così bella.

 

 

Mi chiedo se questo breve pezzo abbia a che fare con i sogni, poi non lo so, forse tutto quello che ancora ci fa ancora guardare le partite riguarda il sogno, perché in quei 90 (vabbè 100/110) minuti dimentichiamo tutto il resto, tutto il circondario, e diventiamo il raccattapalle, l’attaccante, addirittura il terzino e voliamo all’incrocio dei pali come il miglior portiere.

Come ti chiami ragazzino? Che al primo abbraccio sembravi quello che aveva fatto l’assist, quello che aveva sostenuto Kvara tutto il tempo e forse è così. Forse sei tu che dopo i due pali, ti sei avvicinato al campione e gli hai detto: Uagliò, nun te preoccupà che tra poco il gol lo fai. Ma non importa come ti chiami, importa che fossi là e che ci ricorderemo di te, e ti cercheremo con lo sguardo in ogni partita che si giocherà al Maradona. Ecco, il nome dello stadio lo conosciamo.

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