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Simeone racconta l’Italia che lo aveva etichettato bomber di provincia

Ha segnato 59 gol in Serie A, in doppia cifra con Genoa, Fiorentina, Cagliari, Verona. Sempre snobbato, evidentemente non frequenta i salotti giusti

Simeone racconta l’Italia che lo aveva etichettato bomber di provincia
Mg Cremona 09/10/2022 - campionato di calcio serie A / Cremonese-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Giovanni Simeone

Giovanni Simeone è una perfetta cartina di tornasole dell’Italia, del modo di pensare che da noi è maggioritario. Il nostro è un Paese dove una volta che ti appiccicano un’etichetta, ci vuole la mano di dio per affrancartene. Ma nove su dieci non ci riesci. Ed è il nostro, ancora, un Paese in cui l’apparenza vale molto più della sostanza. E, infine, è il Paese del patto di sindacato. Le quote, anche nelle grandi aziende quotate, non hanno tutte lo stesso valore. Perché se hai la puzza della strada, in Italia non vieni considerato.

Solo così si può spiegare l’assurda fama che il povero Giovanni Simeone si porta dietro da anni. Innanzitutto è un atleta che ha la sfortuna di essere figlio di un signore che nel calcio ha il suo posto: Diego, el Cholo, gran bel calciatore e grandissimo allenatore. Figlio di papà e attaccante di provincia. E pure il Cholito (soprannome che all’inizio, e giustamente, dava e non poco fastidio all’attaccante) l’abbiamo sistemato.

Giusto per dare qualche numero – che in fondo servono sempre – Simeone gioca in Italia dal 2016-17. È arrivato qui sei anni fa. Prima, in Argentina, aveva giocato sia col River (tre stagioni) sia col Banfield. In Serie A ha giocato con Genoa, Fiorentina, Cagliari, Verona. Prima di arrivare a Napoli.

Attenzione, prima stagione in Serie A: col Genoa segna 12 gol. Va in doppia cifra. L’anno successivo va a Firenze dove alla fine i gol sono 14 (tre al Napoli di Sarri in quel pomeriggio di maggio). Ottavo nella classifica marcatori, due reti in meno di Higuain con la Juventus. Non male. Ma non gli cambiano la vita. Perché i fatti in Italia contano relativamente. Contano le aderenze, i contatti, le frequentazioni. Devi andare a cena, prendere i caffè. Il povero Simeone penserà “ma io segno”. E allora non hai capito niente.

L’anno dopo, sempre a Firenze, finalmente di reti ne segna appena sei. Finalmente perché si adegua a quel che gli esperti pensano di lui. Si trasferisce a Cagliari e va di nuovo in doppia cifra: 12. L’anno successivo 6. Quindi il trasferimento a Verona. Perché nessuno gli offre altre opportunità. Quando ti bollano bomber di provincia, non c’è niente da fare. A Verona di reti segna addirittura 17. Quarto nella classifica marcatori. Anche qui gli trovano il difetto: sono tutte triplette o addirittura in un giorno solo ne segnò quattro alla Lazio di Sarri (ancora lui).

Solo un direttore sportivo bollato di provincia poteva offrire la chance a un attaccante condannato a essere di provincia. Cristiano Giuntoli lo ha chiamato a Napoli e nel confronto con Petagna (non ce ne voglia) è come aver acquistato Van Basten. È un attaccante che segna. Entra a Milano e segna. Entra a Cremona e segna. Entra col Liverpool e segna. È forte. È assurdo che da qualcuno venga ancora considerato una sorta di usurpatore. Aggiungeremmo che l’intervista a La Nacion dimostra anche che è intelligente, molto intelligente, ma questo in Italia potrebbe risultare un handicap. Grazie all’incompetenza del sistema, il Napoli si ritrova come terzo attaccante uno che potrebbe serenamente giocare centravanti in altre squadre di vertice.

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