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Simeone: «I calciatori vivono di alibi. È sbagliato. Se non gioco, mi chiedo perché»

Bellissima intervista a La Nacion: «stavo pochissimo con mio padre, lì ho imparato che ogni minuto va sfruttato. Pensare nel calcio non aiuta»

Simeone: «I calciatori vivono di alibi. È sbagliato. Se non gioco, mi chiedo perché»
Amsterdam (Olanda) 04/10/2022 - Champions League / Ajax-Napoli / foto Imago/Image Sport nella foto: esultanza gol Giovanni Simeone ONLY ITALY

Giovanni Simeone intervistato dal quotidiano argentino La Nacion. Il giornalista la presenta così: un’intervista diversa, e il merito è esclusivamente dell’intervistato.

“Essere il figlio di … ti dà vantaggi, non c’è bisogno di negarlo, ma è anche vero che tutto costa un po’ di più.Dovevo sempre dimostrare di essere all’altezza degli altri. All’inizio non mi piaceva il soprannome “Cholito”, ora però mi sto rendendo conto che “Cholito” va oltre mio padre. Mi piace molto”.

La Nazionale

Sì, mi sono chiesto se fossi all’altezza di competere con gli altri della Nazionale argentina. E mi chiedo in cosa debba migliorare per essere convocato. La scorsa stagione ho segnato 17 gol ma forse non sono i gol che mi mancano. È altro. O forse devo solo avere pazienza. Non mi arrendo. (…) Se il tecnico non ti vede, è perché devi essere più paziente o devi migliorare in alcuni aspetti. Quando l’allenatore non mi schiera la domenica, cerco anche di capire perché. E lo rispetto, sono i suoi gusti e le sue scelte. Come faccio ad arrabbiarmi con Spalletti se sceglie Raspadori al posto mio? Non mi arrabbio. Perdo se mi arrendo e io non mi arrendo.

La meditazione

Simeone: Mi piace molto la meditazione, nel corso degli anni ho imparato a meditare, ho imparato le tecniche di respirazione. Ho letto molto su questi argomenti. Ora sto leggendo un libro intitolato ‘The 5 o’clock in the morning club’.  È una lettura molto piacevole, ti fa pensare a ciò che è veramente importante nella vita. Con Giulia, mia moglie, parliamo tanto di argomenti totalmente estranei al calcio. A casa non parlo di calcio. Amiamo il mare, di solito vado al mare molto per riposare. Oggi il mondo digitale, i telefoni, ti fanno perdere molto tempo. Per me, la meditazione è la chiave. Inoltre, viaggiare e imparare come vivono persone di altre culture mi dà la possibilità di capire che il mondo è molto più ampio del calcio.

La qualità del tempo

Simeone: Ogni minuto conta. È la qualità, più della quantità. L’ho imparato quando mio padre lasciò l’Argentina e andò in Spagna, e lo vedevo due settimane all’anno. Ed è lì che ho imparato la qualità del tempo. Ho avuto poco tempo con mio padre, e quei momenti li ho vissuto intensamente perché poi avrei potuto rivederlo anche dopo un anno. Da quel momento ho capito che la qualità era molto più importante della quantità. Se approfitti dei 5, 10, 15 minuti che un tecnico ti dà, sicuramente ti darà altre possibilità. Sono cresciuto così nel football.

Gli alibi

Simeone: È molto comune nei calciatori dare la colpa agli altri. Ho conosciuto tanti giocatori, me compreso, che preferiscono puntare il dito contro gli altri. È umano. Succede perché non ci fermiamo a pensare: “perché è successa una cosa del genere, cosa ho fatto per farlo accadere, ho fatto qualcosa di sbagliato?”. No. Preferiamo accampare delle scuse. Con una scusa il problema non è più tuo,  lo trasferisci. Se te ne liberi, non è più tuo. Ed è facile accusare l’allenatore di non farti giocare. Noi giocatori siamo pieni di alibi che poi sfociano in incontri di gruppo tossici, perché prima o poi si finisce per parlare male di qualcuno. Quei gruppi sono negativi. La squadra si divide in gruppetti. Nelle squadre che vincono, che sono poche, si vede invece una grande affinità tra tutti. Non è un caso. E sono pochi i gruppi del genere, perché il calcio è pieno di chi preferisce gli alibi.

I social

Simeone: So che un messaggio può fare tanti danni. Influisce direttamente sulla salute delle persone. Uso i social network, ma mi riservo un Instagram personale che uso con i miei amici, più intimo, in cui seguo tutte le cose che non hanno nulla a che fare con il calcio. Argomenti di pesca, di immersione, animali e foto di paesaggio… Seguo persone che fanno meditazione. Nutro il mio mondo interiore. Raramente apro il telefono per vedere i messaggi, sì, forse, per vedere qualcosa sulla vita dei miei compagni di calcio, per scoprire chi ha segnato un gol… e poco altro.

L’adrenalina del calcio non mi imprigiona: ne ho bisogno per superare me stesso, ma non mi imprigiona, non mi affoga, non mi toglie la vita.

Io mi uccido anche per vincere la partitella, il problema è il dopo. Una cosa è vivere il momento con intensità, e io lì sono inflessibile, ma più tardi, quando arrivi a casa, con la tua famiglia, perché devi continuare a pensare al calcio? A volte, quando pensi troppo, è peggio perché la tua testa non è mai calma, il tuo cervello si consumato, non gli dai ossigeno. Più pensi, meno respiri. Se non si dà ossigeno al cervello, i neuroni funzionano meno. Tutto con i suoi limiti.

Il calcio non è pensare

Simeone: Il calcio non è pensare. Ho sentito dire che le persone più stupide, nel senso che non sanno molte cose, giocano meglio a calcio. Perché non pensano. Non devi pensare di giocare un buon calcio. E molte persone giocano bene, perché non pensano. E viceversa, le persone che sono molto intelligenti ganno tante cose nella loro testa che finiscono per influenzare negativamente il campo. Nel gioco, l’istinto e l’intuizione incidono molto, e questo non è frutto del ragionamento, succede. Quindi è conveniente lasciarsi andare, vivere il presente. Ecco perché, quando torno a casa, vivo il presente. Se vivo qualcosa che non sta ancora accadendo, perdo solo tempo.

Parla di Starace

Simeone: “Sì, Tommy! Un personaggio. Ha sempre un buon caffè a portata di mano… Ha promesso di raccontarmi tanti aneddoti che ha vissuto con Maradona. Cammina nel corridoio da solo e canta ‘Oleeee, Oleeeee, Oleee, Diegoooo, Diegoooo’. L’altro giorno ho iniziato a cantare la canzone di Rodrigo in mezzo allo spogliatoio. Non riesci proprio a contenerti, c’è un’atmosfera speciale, unica, è molto difficile da spiegare”.

“Sentivo di voler venire a Napoli. Al di là della grandezza del club, c’era qualcosa dentro di me che mi spingeva a Napoli. Dovevo venire qui. Il destino mi ha detto che dovevo venire a Napoli. La trattativa ad un certo punto si è bloccata, eppure non mi sono mai mosso di un centimetro dal mio desiderio. Non mi sono mai sentito come qui a Napoli. Perché sono come tra italiani e argentini, proprio come me, il modo in cui mi sento.”

Ci sono dei limiti per il Napoli?

“Essere in una squadra che punta a grandi cose è molto motivante, ma già il fatto di giocare ogni tre giorni è fantastico. Non c’è niente di più bello di così. Papà mi ha sempre detto che è una scarica di adrenalina diversa, ma finché non la vivi non la capisci. Mi piace migliorarmi sempre, non mi piace essere in comfort zone. Quando ti senti a tuo agio, è lì che iniziano i problemi. Per superare te stesso devi essere in una zona scomoda, fuori dal comfort. Mi sentivo pronto per una squadra davvero grande. Ho lottato anni per questo.

Tre gol in 8 partite, ottimo inizio. Il primo è stato speciale, contro il Liverpool, in Champions League. La prima partita di Champions.

“In quel momento non ho pensato assolutamente a nulla, mi sono lasciato trasportare dalla magia del presente. L’avevo vissuto tante volte in quel momento, sognandolo, ma ora stava accadendo. Poi ho lasciato che accadesse…”

Maradona.

È impressionante. Qui tutti parlano di Diego. Tutto. Tutti, tutti, ti dicono che hanno vissuto qualcosa con il Diego. E te lo raccontano con passione, come se fosse successo a loro ieri…, ed era negli anni ‘ 90 forse. Non c’è, ma Diego è come se ci fosse. Lo tengono in testa ogni giorno. La gente qui soffre ancora la differenza tra il nord e il sud, e Diego li ha salvati dall’oblio. Il calcio è gioia per loro, e va oltre il calcio. Ti dicono che ha dato loro gioia, significato, visibilità e appartenenza alle loro vite. Per Napoli avere avuto Diego è un grande orgoglio. Qui le persone hanno il cuore grande, si danno, e Diego ha dato loro luce, ha dato loro speranza, li ha convinti che era possibile contro il potente nord. Te lo dicono tutti i giorni. Ha lasciato un segno per sempre. Per esempio, ora, molte persone mi dicono: “Dal momento che non saremo a questa Coppa del Mondo, saremo tutti argentini”. Ci si aspetta molto dalla nostra nazionale in Qatar, e questo a causa di Diego. L’Argentina fa parte di questa città.

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