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Gazzetta: dovremmo smetterla di considerare i calciatori come beni aziendali

I casi di Messi, Insigne e Dybala aprono uno scenario diverso sulla proprietà dei calciatori e pongono un interrogativo: ha ancora senso considerarli degli asset per le società?

Gazzetta: dovremmo smetterla di considerare i calciatori come beni aziendali
Db Torino 28/01/2021 - campionato di calcio serie A / Juventus-Empoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Paulo Dybala

Marco Iaria sulla gazzetta dello Sport prende spunto dalla notizia del mancato rinnovo di Dybala per allargare il discorso e ragionare sui calciatori in generale e sulla questione se “ha ancora senso considerare i calciatori degli asset per le società?”

Dybala è l’ultimo di una serie di illustri non innovi che hanno cambiato squadra gratis con il contratto in scadenza, vedi Messi, Donnarumma e Lorenzo Insigne.

Calciatori che non è possibile considerare di alcun valore o a fine carriera, ma che, complice il periodo di crisi dovuta alla pandemia, hanno lasciato i rispettivi club a costo zero. In quest’ottima, secondo Iaria “dovremmo smetterla di considerare gli atleti come beni aziendali”

È chiaro che un calciatore rappresenti un investimento per un club ed un investimento fondamentale per quelle società che non hanno altri beni immobili. Dunque un calciatore non è solo un lavoratore regolarmente retribuito. considerando che il calciatore, nel momento in cui viene acquistato rappresenta un bene da poter rivendere. Il valore di quest’ultimo può ovviamente variare nel corso del tempo ed ha un limite per preciso imposto dalla scadenza del contratto.

Adesso non tutte le situazioni sono uguali e non in tutti i casi ad un club può risultare conveniente il rinnovo di un calciatore, come nel caso di Dybala che, al netto dell’incognita infortuni, non rientra nella categoria di giocatori che hanno un rendimento costante o di Insigne.  Ma tutto ciò lascia pensare che questo sistema, così come era stato impostato, non funzioni più. Alcuni pensano che sia solo un momento legato alla contingenza e che nel momento in cui le finanze dei club ritroveranno un equilibrio tutto tornerà come prima.

Cosa accadrebbe, dunque, ai bilanci delle società se i calciatori non fossero più trattati come asset? Spiega Andrea Sartori, Global Head of Sport di Kpmg: “Potrebbe esserci un beneficio per i club, se l’attività del player trading generasse un saldo negativo, però bisognerebbe vedere cosa succederebbe alla curva dei salari. Un calciatore svincolato ha un potere negoziale molto più alto. Sotto il profilo patrimoniale, poi, i club verrebbero a perdere una parte consistente dei propri asset, con conseguente danno reputazionale e nei rapporti con investitori e finanziatori. E non potrebbe più essere utilizzata la leva della vendita dei giocatori per sistemare i conti, posto che i ricavi ordinari resterebbero gli stessi”

 

Claudio Fenucci, amministratore delegato del Bologna, prova a rispondere alla domanda se il calcio potrà diventare come la Nba, dove non esiste il concetto del “cartellino” dell’atleta

“È una visione un po’ utopistica, ma se si introducesse un meccanismo di controlli sui salari globali che un club può spendere, l’abolizione del mercato potrebbe a regime migliorare la situazione economica e aumentare la competitività sportiva. A inizio stagione i club avrebbero un budget senza l’illusione di sistemarlo attraverso la variabile del player trading. Quindi i bilanci sarebbero più prevedibili e le società più solide. Con il salary cap e il livellamento nella distribuzione dei ricavi, il cosiddetto competitive balance ne beneficerebbe”.

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