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Vorrei dimettermi da tifoso ma non ce la faccio. Però Petagna per Mertens no

Siamo passati dell’essere “pieni di veleno” dell’anno scorso, all’essere “pieni di Vesuvio” di quest’anno. Ho fatto tacere il mio spirito critico ma adesso non posso più

Vorrei dimettermi da tifoso ma non ce la faccio. Però Petagna per Mertens no

Mi dimetto.

È stata una decisione presa dopo una lunga e sofferta analisi della situazione nella quale sono venuto a trovarmi.

Sì, mi dimetto.

E mi dimetto, in primo luogo, perché me lo ha chiesto, implorandomi di farlo, il mio povero e martoriato fegato.

E certamente non me lo ha chiesto per qualche frittura che mangio sporadicamente e che lui, mi ha confessato, regge benissimo. Né per quel bicchiere di vino che bevo solo e soltanto ai due pasti principali e che, tra l’altro, ho scoperto che lui, il fegato, gradisce.

In ogni caso, io mi dimetto.

E mi dimetto anche perché me lo ha chiesto, tra i brividi, il mio sistema tracheo-bronchiale che non riesce più a smaltire le conseguenze delle docce, non fredde ma ghiacciate, alle quali viene sottoposto, da un po’ di tempo a questa parte, dopo ogni partita, in casa, del Napoli.

Ormai ho deciso, mi dimetto.

Ma non crediate che mi dimetto a causa, solamente, di questi danni di tipo fisico.

Io non volevo parlarne di altri motivi. Ma se mi costringete, lo faccio.

Confermo che mi dimetto.

E mi dimetto, in primo luogo, perché abbiamo oltraggiato e deriso – tutti, me compreso – il poco che restava, nella temperie culturale attuale, di quello che una volta si chiamava “spirito critico”.

Ci siamo lasciati andare, con una sorta di rivisitazione in salsa calcistica, ad una vera e propria riedizione del “culto della personalità”.

Perciò mi dimetto.

E mi dimetto perché voglio assumermi le mie responsabilità.

Perché anch’io sono stato coinvolto nell’ubriacatura generale causata dalla serie di vittorie iniziali.

Ho partecipato alla festa orgiastica della consacrazione del ‘culto’ del Nostro Allenatore, che Stalin, al confronto, diventava un modesto travet con le mezze-maniche nere.

E ho fatto tacere il mio spirito critico che, pure, qualcosa da dire ce l’aveva.

Ho assistito ad una sorta di beatificazione laica del nostro ‘piccolo padre’.

Senza minimamente reagire.

Ho visto madri protendere le braccia che reggevano i loro neonati affinché fossero almeno toccati dal nostro taumaturgo.

E non ho battuto ciglio.

Poco è mancato che si promuovesse una petizione popolare tendente a sostituire il Cardinale di Napoli con il nostro aureolato, per fargli maneggiare l’ampolla contenente il sangue raggrumato.

E ho taciuto.

C’è voluto lo Spezia il quale, dopo che già l’Empoli ci aveva avvertiti, ci ha urlato in faccia, come il bambino innocente, che il Re è nudo.

E il Re è veramente nudo.

Solo a un Re nudo può venire in mente di sostituire Mertens con Petagna.

‘Perché avevo bisogno di maggiore fisicità’, dice il Re.

Ma, benedetto Re, ti sei reso conto che stavamo perdendo?

Quella è una sostituzione che si può fare solo quando sei in vantaggio, manca un quarto d’ora alla fine, e vedi la squadra un po’ affaticata.

La “maggiore fisicità” non butta la palla in rete. Mertens, forse, si.

E poi, per completare l’opera, togli anche Zielinski.

Perché ce l’hai con i giocatori bravi?

Perché, in ogni intervista, esalti Petagna il quale, poverino, non ha nessuna colpa nell’essere un mediocre, ma non può nemmeno, mai, diventare un babà.

Capite ora perché sono costretto a dimettermi.

Perché non voglio assolutamente entrare in problemi di ordine psicoanalitico o, peggio ancora, para-filosofico. Non ne ho né la voglia, né le competenze.

Ma capite che siamo passati dell’essere ‘pieni di veleno’ dell’anno scorso, all’essere ‘pieni di Vesuvio’ di quest’anno?

Non ne posso più. E non vedo soluzioni possibili.

Se fosse ancora vivo, certamente ci sarebbe venuto in soccorso il mio caro amico Luigi Castellano (in arte Luca) ottimo pittore d’avanguardia degli anni sessanta-settanta nonché Magister Pataphisicorum.

Appunto, la Patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie, inventata da Alfred Jarry.

Oggi ci sarebbe stata utile.

La decisione ormai è irrevocabile: mi dimetto.

Però, prima di dimettermi lasciate che io faccia come fanno i dirigenti del Nasdaq quando vengono licenziati oppure si dimettono: prendere quelle piccole cose che mi appartengono e metterle in uno scatolone per portarmele via.

La prima è quella foto che mi ritrae in pantaloncini corti, seduto sul pavimento di un balcone con le gambette magre infilate tra gli spazi della ringhiera e penzolanti nel vuoto, in quanto noi piccoli eravamo la prima fila sul balcone della Signora Pennasilico – dove ero stato introdotto da un mio compagno di classe, il quale era stato invitato, a sua volta, da un amico del figlio della padrona di casa – al settimo piano di un palazzo di via Rossini dal quale si vedeva tutto il prato dello Stadio Collana (ex-Stadio della Liberazione di Napoli) e da lì ci godevamo le gesta di Jeppson e di Vinicio.

E nessuno è stato mai in grado di stabilire quale sia stato il Santo che ha impedito a quel balcone, con più di venti persone sopra ogni maledetta domenica, di crollare.

La seconda cosa che mi porto via, è quella radiolina a transistor che mi tenne sveglio, incollato a lei, per tutta una notte di prima estate ascoltando le neonate ‘radio private’ dalle quali ricevevo notizie che provocavano, alternativamente, momenti di esaltazione e di delusione: “È tutto a posto. Manca solo la firma”, seguita subito da: “Sembra che il Barcellona ci abbia ripensato. Ha posto nuove clausole o non se ne fa nulla”. Fino all’alba e al liberatorio: “È fatta. Diego è del Napoli”.

Poi ci sono tante altre cianfrusaglie da portar via.

Come i tre biglietti del treno Roma-Napoli che presi il 10 maggio 1987, di prima mattina, assieme a mia moglie a una figlia piccola.

O come quel paio di occhiali che scaraventai a terra frantumandoli, circa un anno dopo, nella sede Rai di via Teulada – non c’erano ancora le TV che trasmettevano le partite in diretta – dove ci vedevamo, assieme al mio amico Mimmo Liguoro e ad altri Napoletani a Roma, le partite in bassa frequenza.

Ce ne sarebbero tanti di oggetti da portarmi via. Ma mi fermo qui, anche perché lo scatolone è pieno e debbo andar via. Stanno arrivando i nuovi occupanti della stanza.

Allora è deciso: mi dimetto.

Ma da cosa mi dimetto?

Io, in questo “magico mondo del calcio” non ho mai avuto nessun ruolo, nemmeno quello di modesto magazziniere di una squadra di serie Zeta.

A pensarci bene potrei dimettermi solo dall’essere tifoso.

Ma ci si può mai dimettere da una passione?

E, nel caso, a chi dovrei spedire la mia lettera di dimissioni?

L’unico che potrebbe comprendermi e al quale potrei spedire la lettera è il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò.

Oggetto: Ogni limite ha una pazienza!

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