Anche se su Lazio-Torino potrebbe aver ragione, Sandulli ribadisce la “violenza” delle sue sentenze. Ma ha capito la gerarchia delle fonti
Fa una certa tenerezza rintracciare su Google tutto il “pugnodurismo” passato di Gravina, e della Federcalcio, contro “i furbetti del Protocollo”. Con quell’abuso di tic giornalistici per cui lo stesso titolo può confezionarsi sulla misura di eventi molto diversi tra loro, è da prima dell’estate che leggiamo di “tolleranza zero” per chi non avrebbe rispettato i comandamenti che il calcio s’era dato per portare avanti il campionato in mezzo ad una pandemia ondivaga. Col passare dei mesi, e delle sentenze, la tolleranza ha sbracato. Da zero a uno, ora a due. Fino ad una resa incondizionata, riassumibile nelle motivazioni che la Corte Sportiva d’Appello della Figc ha scritto sul “caso” Lazio-Torino: “non capisco ma mi adeguo”, manco Piero Sandulli fosse il comunista romagnolo di Quelli della notte.
Nella sostanza la Corte alza le mani: la partita va rigiocata, perché non si può ”disapplicare” il provvedimento amministrativo emesso dalla Asl di Torino. L’ordinamento statale è sovrano rispetto a quello sportivo. Vale il precedente di Juventus-Napoli. Punto. Stanno prendendo atto della gerarchia delle fonti, piano piano se ne faranno una ragione.
Ma è la seconda volta che Sandulli – la sua Corte – si lascia andare a valutazioni di merito, anche molto pesanti, sulla questione in ballo. I termini sono sempre gli stessi. Avevano accusato il Napoli di “slealtà” sportiva, e ora quasi in copia conforme definiscono il comportamento del Torino “furbo”. Il senso è lo stesso, banale, persino puerile: non si fa così, uffa!. E’ una sentenza che batte i piedi a terra, strepitando consapevole che non la spunterà. La Giustizia Sportiva s’è ridotta alla fase del capriccio un po’ isterico.
Val la pena di riportarne qualche passaggio. Per la Corte “non vi è dubbio che” il Torino “abbia tratto profitto dal provvedimento adottato dall’autorità sanitaria torinese, peraltro, su richiesta della stessa Società granata”. Perché “un atto amministrativo, peraltro con finalità di prevenzione della salute collettiva a fronte della più grave emergenza sanitaria della storia moderna dell’umanità, non può produrre effetti dal giorno successivo alla sua adozione, alla stregua di un atto giudiziario”.
E poi… il principio della lealtà sportiva “non dovrebbe mai essere vanificato, neppure nella presente situazione di emergenza sanitaria”. Per Sandulli Lazio-Torino si poteva “tranquillamente disputare, atteso, peraltro, il consistente numero delle rose di calciatori a disposizione delle Società professionistiche”.
La “furbizia”, letterale, finisce nero su bianco. E, anzi, la sentenza prende quasi per i fondelli l’arcaismo di alcuni termini che ancora regolamentano il pallone: parliamo di “competizioni che, sebbene abbiano natura professionistica, riguardano sempre un gioco, o meglio un “giuoco” per ricordare la parola ricompresa nella definizione della Federazione”.
Tutto ciò premesso, però, non possiamo farci niente, ha ragione il Torino e torto la Lazio. La partita va giocata. Difficile far protocollare lo sbuffo di sottofondo, ma è udibile, la carta canta.
Stavolta, per giunta, Sandulli avrebbe anche ragione. Come sottolinea Barbano sul Corriere dello Sport, è assurdo che l’ Asl abbia fatto partire la quarantena dal giorno successivo, in modo da racchiudere nei 14 giorni anche quello della trasferta a Roma:
“Come se un medico dicesse: tu hai il Covid, vai a salutare parenti e amici perché da domani dovrai chiuderti in casa”
Lo ribadisce Barbano: Lazio-Torino non è uguale a Juve-Napoli, nel dettaglio.
Però c’è la Corte d’Appello che fa da ponte tra i due casi. Le motivazioni che confermarono – prima di essere smentite in terzo grado, al Coni – lo 0-3 a tavolino del Napoli erano persino più violente, sfioravano l’insulto. Era ancora autunno, e quello era il calcio che ancora si credeva nel pieno delle sue facoltà giuridiche, e che metteva i paletti, difendeva sé stesso. Il Napoli, argomentava Sandulli, ha brigato per non giocare. Va punito.
Altrettanto fa ora col Torino, stavolta però a capo chino, impotente. A torto (nel caso del Napoli) o a ragione (come potrebbe essere per Lazio-Torino) siamo ancora di fronte al calcio che prova a ribellarsi, che sbraita, che urla le sue ragioni. Con gli stessi toni, persino. A consunzione di un principio ormai dilaniato dalla realtà: siamo marziani, ci autoregoliamo, abbiamo i jolly, fateci fare a modo nostro.
A giugno 2020, quando questo castello di carte tarocche era ancora in costruzione, Gravina minacciava fino all’esclusione dai campionati, per i fantomatici “furbetti del protocollo”. Ora che la belligeranza s’è arresa all’evidenza, assistiamo divertiti a questi ultimi mugugni, un colpo di coda d’orgoglio fine a se stesso. Che – forse – un tribunale non dovrebbe mai svilirsi a tradire.