I dieci anni da expat gli hanno fatto perdere Tavecchio, le quattro lesbiche, le campagne di club e Sky per annacquare le norme antirazziste
La campagna mediatica
Carlo Ancelotti è un ciclone nel calcio italiano. Torna in Italia dopo dieci anni. Dieci anni in cui tutti, diciamo tutti, si sono girati dall’altra parte per far finta di non vedere né soprattutto ascoltare. L’elenco è lungo. Dovremmo fare un pro-memoria per Carlo Ancelotti. Noi del Napolista pubblicammo anche un libro: “L’anno in cui il calcio italiano si è arreso agli ultrà”.
Per sua fortuna, Ancelotti si è perso parecchie perle. Ancelotti non sa che nel 2014, quando venne eletto alla presidenza della Figc, il primo provvedimento di Carlo Tavecchio – spalleggiato da tutti i presidenti di Serie A, compreso De Laurentiis – fu l’annacquamento delle norme per i cori di discriminazione territoriale. In Italia imperversò una campagna di altissimo profilo in favore degli insulti e dei cori razzisti. Campagna anche e soprattutto giornalistica in cui si distinse Fabio Caressa che defini la norma che puniva la discriminazione territoriale “una norma iniqua, che non deve più esserci. Dà una brutta immagine del nostro calcio”. Così come definì la chiusura delle curve milanesi “un atto piratesco”. Potremmo continuare a lungo.
Gli insulti sono il minimo
Questo è il clima che c’era e che c’è in Italia. Se i figli sono il frutto dell’educazione dei genitori e dell’ambiente in cui crescono, lo stesso discorso vale per altri ambiti. E anche per il calcio italiano. Gli insulti negli stadi sono figli di questa cultura. E parliamo di un tema che non è mai stato all’ordine del giorno. Perché gli insulti ci sono sempre parsi il minimo in un sistema calcio come quello italiano in cui ci ritroviamo costretti ad ascoltare cori razzisti, di discriminazione territoriale e in cui siamo abituati a trasformare le eventuali e sporadiche sanzioni in allegre scampagnate per bambini allo stadio, svuotando così di ogni contenuto educativo e culturale la pena inflitta. Gli insulti sono il minimo. Non a caso, prima delle parole di Ancelotti il dibattito in Italia è stato incentrato solo su Mourinho, con la perla di Gramellini in prima pagina sul Corriere della Sera.
Da Optì Pobbà alle quattro lesbiche
Nel decennio da expat, Ancelotti si è perso tante perle. Dalla battuta su Opti Pobbà cioè la frase razzista con cui Tavecchio si presentò al calcio italiano; o ancora la frase sulle calciatrici femminili definite quattro lesbiche dall’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti Felice Belloli. Per amor di patria, caliamo un velo su ultras, ndrangheta, bagarinaggio.
Questa è l’Italia del calcio. Dove un giorno (ora sì) all’improvviso, plana Ancelotti e dichiara: «Si fermano le partite per pioggia, si possono fermare per le ingiurie. Essere insultati in Inghilterra è quasi impossibile». È meraviglioso notare le reazioni degli allenatori. Ecco cosa scrive oggi il Corriere della Sera:
Gli allenatori sono tutti con lui, soprattutto quelli che hanno lavorato all’estero e hanno notato la (abissale) differenza. «Carlo non è più abituato», racconta sconsolato Antonio Conte. «Soltanto in Italia c’è l’insulto libero alla persona. La serie A con Cristiano Ronaldo ha fatto un salto di qualità, ora però deve cambiare la mentalità della gente».
Alla Gazzetta Conte dice: “La verità è che all’estero non esiste la cultura dell’insulto continuo e viene difficile accettare simili comportamenti: in Inghilterra si arriva con il pullman in mezzo ai tifosi avversari, si fanno foto con loro. Si tifa a favore, non contro”. Il Corriere della Sera scrive che Gravina, il neo presidente Figc – “riempie il suo taccuino di appunti”. A noi scappa da ridere. Allegri, colui il quale non riesce mai a sentire i cori razzisti allo Stadium, parla di «problema culturale e cambiare la cultura non è facile». Noi crediamo che sia più un problema di udito.
Ancelotti è un alieno. Sembra il marziano di Flaiano, speriamo che non faccia la stessa fine.