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Se la lotta al razzismo dipendesse da Fabio Caressa

Ha definito l’ordinanza della corte di Giustizia Federale, che ha sospeso la chiusura delle curve milanesi, un provvedimento piratesco perché a suo giudizio l’organo sportivo doveva semplicemente disapplicare una norma iniqua, attribuendo, motu proprio, al giudice sportivo i poteri del legislatore federale.

Ha detto che la discriminazione territoriale ce la siamo inventata noi, il che non è vero.

La normativa della Uefa sanziona qualsiasi forma di discriminazione (che sintetizza con una parola RESPECT) con una disposizione di ampia portata che può definirsi di norma in bianco, in quanti in essa il legislatore nazionale può sanzionare ogni forma di discriminazione che attenta al rispetto delle persone.

Ha detto che il nostro è l’unico paese che sanziona la discriminazione territoriale.

Questo e’ vero, ma è una vergogna tutta italiana, perché il nostro è l’unico paese europeo nel quale è stratificato in tutte le categorie sociali del settentrione un diffuso fenomeno di razzismo territoriale nei confronti delle popolazioni meridionali, che trova negli stadi una zona franca di impunità.

Naturalmente la cavolata più grande l’ha detta quando, facendo propria la vulgata corrente della consorteria mediatica e lobbistica, ha sostenuto che i cori degli ultrà sono soltanto un modo di prendersi in giro goliardicamente negli stadi, sulla scia di una rivalità campanilistica.

Il tentativo di banalizzare il carattere di antigiuridicità sportiva dei cori discriminatori territoriali si infrange tuttavia contro il preciso dettato della Corte di Giustizia Federale, costituita da giuristi di elevato profilo scientifico, che ha riconosciuto il carattere ideologico dei cori indirizzati ai napoletani negli stadi.

Peraltro l’antigiuridicità dei cori offensivi non può essere messa in discussione neppure sotto il profilo dell’ordinamento statuale, dal momento che le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito il principio della piena equiparazione delle offese rivolte alle singole persone e all’intera categoria, in quanto l’appartenenza ad una categoria costituisce parte integrale del patrimonio di onore e di rispettabilità che occorre riconoscere ai singoli soggetti.

Altrettanto arbitraria l’affermazione che le espressioni contenute nei cori, pur avendo obiettivamente carattere dispregiativo, sono divenute di uso comune perdendo la loro connotazione offensiva perché legalizzare queste espressioni in nome della volgarità dominante significherebbe di fatto depenalizzare l’art.594 del codice penale che punisce l’ingiuria quale offesa dell’onore e della reputazione della persona.

Né maggior pregio presenta un bonario argomento del Caressa, secondo cui se non si dà visibilità ad alcuni comportamenti il fenomeno si esaurisce. È vero il contrario, dal momento che nella passata stagione sportiva la Juventus, in regime di semplici sanzioni pecuniarie, di bassa visibilità, ha realizzato il record delle ammende per i cori dei suoi tifosi, eppure il fenomeno non si è esaurito ma, al contrario, è aumentato.

Infine dove il Caressa mostra di essere quantomeno in totale confusione, è quando agita, come deterrente, l’argomento dell’ordine pubblico, paventando la mobilitazione delle curve interiste e milaniste come una miscela. La verità sta proprio nel segno opposto. L’ordine costituito non può cedere al ricatto degli ultrà, riconoscendo la loro legittimazione a spadroneggiare negli stadi.
Questa volta il monito di Abete è stato chiaro: se il ricatto dei tifosi per far chiudere gli stadi continuerà’ gli organi di giustizia sportiva potranno sanzionare quel tipo di settore per 2,3,10 settimane senza alcun limite.
Antonio Patierno

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