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Altafini: «A Napoli sono diventato core ‘ngrato ma la verità è che la società mi scaricò»

A La Stampa: «Pensavano che fossi finito e mi fecero un contratto a gettone con svincolo. Io segnai dieci gol e a fine anno arrivò la Juve»

Altafini: «A Napoli sono diventato core ‘ngrato ma la verità è che la società mi scaricò»
Gc Monaco di Baviera (Germania) 07/03/2007 - Champions League / Bayern Monaco-Real Madrid / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Jose' Altafini

Altafini intervistato da La Stampa, a firma Antonio Barillà.

«Andai al Napoli con Sivori, amico mio nonostante le maldicenze. Gli dissi “Fai tu il re, basta che mi fai segnare”».

A Napoli divenne idolo…
«La gente mi amava e volevano darmi la fascia di capitano: dissi no affinché la prendesse Juliano, più portato. Poi, a 34 anni,
mi fecero un contratto a gettone con svincolo a fine stagione: pensavano fossi finito, invece segnai 10 gol ed ebbi cinque offerte. Loro non fecero nulla per trattenermi e io scelsi la Juve per rigiocare la Coppa dei campioni: quando con un gol feci fuori il Napoli dalla lotta scudetto diventai Core ’ngrato. Ingiusto».

Nacquero i gol alla Altafini…
«Stare in panchina non era bello, non c’erano le rotazioni di oggi, ma alla Juve, subentrando, sapevo essere decisivo. Rimasi tre anni, poi spiccioli in Canada e in Svizzera».

È stato apprezzato opinionista tv, inventore del Golaço.

«L’ho solo importato. Semmai ho inventato il manuale del calcio. Mi piaceva commentare i gesti tecnici, non raccontare se un calciatore ha il gatto nero o bianco. Ma in Italia la competenza non sempre vale e forse ho pagato essere vecchio».

Altafini, la sua infanzia è nota grazie al docu-film su O Rei…
«Romanzata e lontanissima dalla realtà: raccontano sua mamma cameriera in casa mia, invece la mia famiglia era povera. Papà Gioacchino lavorava in una piantagione di canna da zucchero, avevo una sola camicia a maniche corte che mamma Maria lavava la sera e mettevo di nuovo al mattino. Ho fatto il garzone del barbiere, l’aiutante in una fabbrica di mobili e in lavanderia, mi sono alzato alle 4 per consegnare carne, a 15 anni sono diventato apprendista meccanico».

Altafini e i due napoletani fortissimi, ma uno era mentalmente fragile

José Altafini a Radio Anch’io, parla dell’importanza dello psicologo nel calcio, anche per quel che riguarda il rapporto con le scommesse. E regala un aneddoto riguardante il Napoli.

Dice Altafini:

«Nel 1958, quando il Brasile vinse il Mondiale, andammo quattro mesi in ritiro per prepararlo. Ci preparammo benissimo fisicamente, ma soprattutto avevamo uno psicologo che restò con noi per tutto il tempo. In un primo momento ci restammo un po’ male, pensavamo “ma mica siamo scemi…”. L’importanza l’abbiamo capita dopo. Gli allenatori non sono psicologi, né i genitori né i procuratori. Lo psicologo può indicare all’allenatore chi ha bisogno di qualcosa, chi sta meglio o chi sta peggio. Quando ero al Napoli avevo due compagni, due napoletani, entrambi bravissimi. Solo che uno era forte mentalmente, l’altro no. Uno entrava in campo e se anche lo fischiavano non gliene fregava nulla, l’altro se sbagliava un passaggio non giocava più. Le teste vanno studiate».

Parlava di Juliano e Montefusco?

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