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Pozzetto: «Jannacci mi fece una puntura per un’intossicazione e se ne andò via ridendo, chissà perché»

Al CorSera: «Enzo amava le barche. Se ne comprò una di 7 metri e mi invitò a provarla, ma invece che al mare mi portò all’Idroscalo».

Pozzetto: «Jannacci mi fece una puntura per un’intossicazione e se ne andò via ridendo, chissà perché»

Il Corriere della Sera intervista Renato Pozzetto. Ha 82 anni, ricorda quando da ragazzo, al bar dove trascorreva i pomeriggi con gli amici, aveva creato un ufficio-facce per decidere chi aggregare alla comitiva.

«Al Bar Gattullo, dove passavo i pomeriggi da ragazzo con i miei amici, avevamo creato un ufficio-facce, per decidere chi poteva far parte della comitiva. Quando qualcuno non aveva i tempi del nostro umorismo o semplicemente tifava la squadra di calcio sbagliata, la battuta ricorrente era: “Ma questo è passato dall’ufficio facce?».

Ha formato per anni un duo artistico con Cochi Ponzoni. Si sono conosciuti da piccoli.

«Siamo nati tutti e due a Milano nello stesso quartiere e tutti e due, fatalmente, siamo stati sfollati durante la guerra a Gemonio. Nel 1942 una bomba ha beccato in pieno il palazzo dove abitavo e sono rimasto senza casa. A Cochi sua mamma aveva comperato una chitarra, suonavamo le canzoni che sentivamo alla radio».

Fino alla prima media è stato un laghèe.

«Poi siamo tornati a Milano, in un alloggio del Comune: si chiamavano case minime ed erano abbastanza disumane, piccoli nuclei vitali in mezzo a cortili enormi. Poi ci siamo trasferiti dove c’era il capolinea del tram 3, nel quartiere Baia Del Re. C’era gente che si guadagnava onestamente lo stipendio, come mio padre, ma anche la malavita. Ho giocato con figli di gente complicata».

La svolta arrivò quando Agostino-Tinin Mantegazza e sua moglie Velia aprirono una galleria d’arte notturna frequentata da Giorgio Gaber e Enzo Jannacci. Poi inaugurarono in un sottoscala il Cab 64, dove Pozzetto e Cochi cantavano le loro canzoni milanesi. E poi arrivò il Derby.

«Un successo incredibile, la gente prenotava il Capodanno da un anno all’altro, c’era così tanta folla che era stata creata una scala che si alzava e si abbassava dopo la porta d’ingresso, per cui quando la scala saliva l’entrata non esisteva più. Era frequentato dalla gente della televisione: per noi arrivarono le prime trasmissioni».

Su Enzo Jannacci:

«Il nostro più grande sostenitore, che diventò anche il mio medico di base. Nacque un’amicizia fortissima, nonostante lui fosse notoriamente Schizzo… perché era un tipo nervoso, imprevedibile. Grazie al Derby arrivò la Rai, con Canzonissima che faceva 20 milioni di ascolti e poi anche il cinema. Mi ritrovai a firmare tre contratti cinematografici e per festeggiare andai a mangiare l’aragosta. Ebbi una intossicazione e Enzo dopo avermi fatto una puntura se ne andò via ridendo con un matto nel corridoio. Non ho mai capito cosa volessero dire quelle risate».

Altre stranezze?

«Enzo amava le barche e finalmente se ne comperò una di 7 metri. Mi invitò a provarla: credevo mi portasse al mare, invece aveva decisa di tenerla all’Idroscalo. Ci ritrovammo in mezzo all’acqua, soli, con un freddo glaciale».

Come nacque il famoso «taac»?

«Lo diceva sempre un ragazzo simpaticissimo che frequentava il Derby, grosso scommettitore di cavalli: quando vinceva o le cose andavano per il verso giusto, lui diceva “taac”».

I suoi amici dell’ambiente artistico?

«Paolo Villaggio, che incontravo anche per mare tra la Sardegna e la Corsica. Avevo la casa a La Maddalena, lui a Bonifacio, una casa stretta e lunga affacciata sulla falesia: ci parlavamo dalla barca al balcone, perché la roccia faceva da cassa armonica. Poi Renato Della Valle e Marcello Mastroianni».

Di cosa è fatta la milanesità?

«Puntualità, rigore, un certo attaccamento alla famiglia. Noi fratelli Pozzetto con i primi soldi abbiamo comprato la casa ai genitori».

 

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