Al CorSera parla del padre scomparso nella tragedia di Superga: «L’ho sognato una volta, quando uscì il “Romanzo del Grande Torino”. Fu un flash:mi mise una mano su una spalla e mi disse: “Bravo Franco”»

Franco Ossola Jr, figlio di Franco Ossola, una delle vittime della tragedia di Superga ha rilasciato un’intervista al “Corriere della Sera”, dove racconta com’è stato conoscere suo padre soltanto attraverso i racconti e le storie su di lui.
Quando ha cominciato a pensare al papà, mai conosciuto perché lei nacque 8 mesi dopo la disgrazia?
«Dai 20 anni. Prima vivevo situazioni strane. Incontravo chi mi dava una pacca sulla spalla e mi diceva: “Franchino, ho conosciuto tuo papà”. Oppure: “Io ho giocato con tuo padre”. Poi però c’erano i racconti della mamma: quelli mi hanno segnato».
Ha detto che questa vicenda le scivolava sempre via.
«Ero “impermeabilizzato”. Poi ho afferrato che era importante, non perché Franco fosse mio padre, ma perché con i compagni aveva creato la meraviglia del Grande Torino. Da lì è nato tutto, come una valanga che si ingrossa».
Il vuoto dunque c’era, però non così forte.
«Avevo una famiglia numerosa: a casa nostra siamo stati anche 12 o 13 e questo scenario ha smussato alcuni spigoli. Tuttavia ero un bambino solitario: stavo in un angolo, giocavo da solo con i soldatini, ritagliavo le figurine. Non posso dire di aver sentito in modo profondo la mancanza di Franco. Semmai l’ho avvertita dopo, quando ho preso consapevolezza di che cosa avrebbe potuto essere la mia vita con lui».
Franco Ossola, il figlio: «Papà fu coraggioso, a 18 anni era venuto da solo a Torino»
Il racconto di papà fatto da sua madre.
«Anche se si era risposata, mamma non ha mai messo Franco nel dimenticatoio. Mi è sempre rimasta in testa una cosa: papà si unì a lei malgrado le difficoltà che mi sono state raccontate».
Se la sente di ricordarle?
«Papà è stato coraggioso prima di tutto perché a 18 anni era venuto da solo a Torino. Poi perché in famiglia a Varese non volevano che si sposasse con Piera. Nonna Angelina aveva già predisposto il suo destino sentimentale, anche se era un figlio acquisito: nonno Giovanni l’aveva sposata in seconde nozze dopo essere rimasto vedovo. Quando Franco si sposò, nel 1944, da Varese non venne nessuno e questo mamma l’ha sofferto».
Ha immaginato suo padre in carne e ossa al suo fianco?
«Sì. E volevo proteggerlo: pensavo di abbracciarlo e di rincuorarlo per quello che gli era capitato. Però non l’ho mai sognato, tranne una volta, quando uscì il “Romanzo del Grande Torino”. Fu un flash: eravamo in mezzo alla gente, lui era in doppiopetto e ben pettinato. Mi venne incontro, mi mise una mano su una spalla e mi disse: “Bravo Franco”. Sì, mi parlò. Lo incontrai solo quella volta, eppure ci riprovai spesso…».
Prego, racconti.
«Da giovane ero in un gruppo che teneva sedute spiritiche. Papà non l’abbiamo mai trovato; mia sorella Daniela, a sua volta morta giovane in modo tragico, invece sì. Quando papà mancò, lei aveva 4 anni e mezzo: la incontrammo grazie a una medium».
Perché quel Torino è ancora oggi un mito?
«Soprattutto perché era formato da persone normali. Lo prova un aneddoto di Giampaolo Ormezzano: era ragazzino ed era andato al cinema con gli amici. Si ritrovarono a fianco Valentino Mazzola. Giampaolo lo fissava per sincerarsi che fosse lui. Ad un certo punto Valentino gli disse: “Cerca di guardare il film”…».