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Abatantuono: «Una volta Jannacci mi guarì dalla febbre con una siringa con dentro il Campari»

Al Messaggero: «Vorrei essere cremato e messo in un bosco insieme ai miei amici, ognuno sotto un albero con sopra il suo nome su una targhetta».

Abatantuono: «Una volta Jannacci mi guarì dalla febbre con una siringa con dentro il Campari»

Il Messaggero intervista Diego Abatantuono. Ha appena pubblicato un libro con Einaudi, scritto con Giorgio Terruzzi. Si intitola “Si potrebbe andare tutti al mio funerale”. Parla degli anni al Derby, il cabaret milanese dove ha mosso i suoi primi passi da attore, con Jannacci, Cochi e Renato, Dario Fo e i Gatti di Vicolo Miracoli. Della droga che circolava.

«Tutti pippavamo. Avevo 16 anni, ho fatto esperienze, ma sono ancora vivo. Mentre nel quartiere dove abitavo, il Giambellino, uno su tre è morto di eroina, compreso mio cugino».

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«Per me qualche canna. Se un amico me la propone a fine giornata e non ho sonno, può capitare anche oggi. Ma non voglio rischiare, già mi dicono che dovrei bere mezzo bicchiere di vino a pasto. È bere quello? Piuttosto, mi faccio mezza Coca Cola Zero».

Parla della morte, di come si immagina dopo.

«Io immagino di essere cremato e messo con chi vuole starmi vicino, sotto un ulivo, una quercia, un leccio. Sarà il bosco degli amici, con le targhette dei loro nomi: ognuno sceglie il suo albero, a chi non c’è più lo scelgo io».

Sogna molto?

«Sì, ma non andrei mai a dormire. Quando devo farlo mi siedo sul letto, controllo la luce, la pastiglia, scelgo il canale perché la notte devo avere sempre la tv accesa… e mi addormento seduto. Non riesco a mettermi con la testa sul cuscino. Non capisco chi dorme al buio e in silenzio: per me è una bara».

Il titolo del libro è ispirato ad una canzone di Jannacci, che era medico. Abatantuono racconta di una volta che fu curato da lui.

«Avevo un febbrone, arrivò Enzo in Vespa, scrisse la ricetta e mandò il mio amico Ugo Conti a comprare le medicine “e dei Campari Soda”. Mi fece un’iniezione: ero girato, ma leggenda vuole che nella siringa abbia messo anche un po’ di Campari. Di fatto, la febbre passò e andai inscena».

Gli chiedono perché scrive. Risponde:

«Voglio raccontare, per non dimenticare. Pur di raccontare, potrei anche fare teatro, che mi piace. Il problema è che potrei solo il lunedì e il venerdì, perché non ci sono le partite».

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