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Prima di tutto l’azienda. La Spagna punta sulle storture del capitalismo per vincere l’Oscar

“Il capo perfetto”, con Javier Bardem che intepreta il proprietario di una fabbrica di bilance industriali. Un film con atmosfere alla Virzì

Prima di tutto l’azienda. La Spagna punta sulle storture del capitalismo per vincere l’Oscar
Sembra una commedia di Virzì questo “Il capo perfetto” diretto e sceneggiato da Fernando León de Aranoa, film che rappresenta la Spagna nella corsa agli Oscar 2022. Julio Blanco (Javier Bardem) è il proprietario di una fabbrica di bilance industriali nella rampante provincia spagnola. È un piccolo Cavaliere iberico che governa la sua attività con il piglio del buon padre di famiglia che tiene anche alle vite private dei suoi dipendenti-amici. Ma già dai primi fotogrammi due realtà fanno a cazzotti: la lotta di un contabile licenziato – “per un taglio necessario” – e la vulgata che Julio si racconta con l’adesione dei suoi sottoposti. In fabbrica c’è attesa perché deve arrivare una Commissione provinciale che accorda un premio per l’eccellenza imprenditoriale stura alla concessione di finanziamenti. Ma proprio il responsabile della produzione Miralles (Manolo Solo) è fuori di testa perché sua moglie ha una storia con un altro suo dipendente Khaled (Tarik Rmili). In più giunge in fabbrica anche una avvenente stagista Liliana (Almudena Amor) con cui Julio – sposato – intreccia una relazione. L’impressione è che ogni azione che el patron pone in essere sia indirizzata alla salvaguardia dell’azienda, incurante dei destini degli altri singoli visti come capitale umano. Il bonario imprenditore in un crescendo da opera lirica mette a posto tutti i tasselli fuori quadro concedendo a quelli che gli sono stati utili vantaggi e funzioni lavorative e peccato se un suo dipendente ci perderà un figlio scapestrato. Un film amaro che ricorda le atmosfere de il Tornatore de “La migliore offerta”. “A volte bisogna truccare anche le bilance”.
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