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Staino: «Per me il disegno è come ventre materno, mi offre rifugio dalle intemperie della vita»

A Repubblica: «Il mio tratto precedente era quello di un architetto sicuro di sé e strafottente, quello attuale è un segno conquistato millimetro per millimetro» 

Staino: «Per me il disegno è come ventre materno, mi offre rifugio dalle intemperie della vita»

Su La Repubblica un’intervista a Sergio Staino, fumettista e giornalista, oggi 81enne. Per una degenerazione della retina, ha perso la vista quasi del tutto, ma continua comunque a disegnare.

«Per me il disegno è una sorta di ventre materno, che mi offre rifugio dalle intemperie della vita. Me ne sono accorto negli anni, notando come rispondevo attraverso il disegno a tutte le disavventure: la scuola che non andava, le tonsille operate senza anestesia, i familiari che morivano, l’angoscia che mi prendeva».

Racconta quando sono apparsi i primi segni della malattia.

«I primi segni della cecità si manifestano nel 1977. Il mio occhio destro era molto miope, mentre il sinistro raggiungeva gli 11/10 con la correzione. Una sera, mentre guidavo, mi sembrò che i catarifrangenti ai lati della strada saltassero, non cogliessero il riflesso dei fari e si oscurassero. All’ospedale Maggiore di Trieste, la diagnosi fu: retinite degenerativa. Insomma, la retina era enormemente tesa a causa della grandezza del globo oculare. Come fosse la retina di un uomo di 120 anni, mentre ne avevo solo 37. E mi venne detto che, probabilmente, non sarei arrivato alla cecità totale, ma molto molto vicino. Piansi per giorni».

Poi ci fu la reazione.

«Quando l’occhio prese a familiarizzare con questa macchia disposta nel centro della pupilla, mi feci portare, in quella stanza di ospedale, fogli e matite. Davanti al mio letto c’era una finestra, come dire, asburgica, dotata di doppi vetri. Così, mi sono dannato per cercare di “vederla” e disegnarla. È stata una lotta spaventosa per capire come era fatta, quella finestra, e riprodurla sul foglio. Una fatica che ha cambiato totalmente il mio segno. Quello precedente era il tratto di un architetto sicuro di sé e fin strafottente, mentre quello attuale, è un segno conquistato millimetro per millimetro, scavato e lavorato duramente. È la penna che agisce e reagisce con sofferenza. Da allora è stata una ricerca continua di nuovi strumenti tecnologi: prima un tavolino retroilluminato con i fogli sopra, poi lenti di ingrandimento sempre più potenti e, infine, il computer».

Eppure Staino ha una certezza:

«La memoria dei colori resiste al loro logoramento».

La vita quotidiana, tuttavia, non è semplice.

«Nella vita di tutti i giorni, tuttavia, la scomparsa dei colori ha effetti assai concreti e pesanti. Quando la mattina scendo in cucina trovo la stessa familiare disposizione del tavolo e della sedia e ho in mente la collocazione precisa delle tazze bianche e delle posate e la luce che vi si riflette. E ogni giorno, immancabilmente, misuro quanto, di
quella tazza bianca, perdo».

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