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La Lazio “difende” il protocollo, ma giocò l’andata col Torino con Immobile positivo

Il club di Lotito è sotto processo e rischia punti di penalizzazione. In questo contesto come ha fatto Tare a salire sul pulpito della probità invece di restare zitto?

La Lazio “difende” il protocollo, ma giocò l’andata col Torino con Immobile positivo

Tutta l’ottusità del calcio italiano – così ottuso da non rendersi conto delle figuracce su cui va puntualmente a sbattere – può essere riassunta da una dichiarazione di Igli Tare, che proprio come fu per Agnelli la sera di Juve-Napoli, ha parlato a Sky Sport dall’Olimpico, mentre la Lazio faceva il giro del campo coi covoni di paglia.

Resosi conto, Tare, che il Torino per davvero è una società così pavida da rispettare la quarantena obbligatoria imposta dall’Asl competente – ovvero lo Stato Italiano – ha recitato indignato:

«Le ragioni del Torino? Io non devo capire, devo solo rispettare il regolamento della Lega, il protocollo»

Il soldato Tare ha evidentemente memoria selettiva e poca discrezionalità analitica. Campa come tutti i rappresentanti dei club di A che ieri si sono riuniti per ratificare – all’unanimità, perdinci! – che le regole del calcio per loro valgono più della legge dello Stato, in un mondo a parte. Nel quale il sacro rispetto del protocollo, e di tutte le convezioni privatistiche simili, va difeso da un pulpito che la continenza, un po’ di saggezza, magari il senso del ridicolo, suggerirebbero di evitare.

Perché Lazio-Torino ha un precedente curioso: Torino-Lazio, l’andata. Terminata con un rocambolesco 3-4, e ben due gol della Lazio oltre il 90′: Immobile su rigore e la rete decisiva di Caicedo al minuto 98. Ebbene, proprio quella partita potrebbe teoricamente costare alla Lazio la sconfitta a tavolino e una penalizzazione in classifica, a causa – pensa l’ironia della sorte – del mancato rispetto da parte della dirigenza laziale del Protocollo. Sì, il sacro protocollo.

Cosa avvenne? Il 27 ottobre scorso alcuni giocatori della Lazio (tra cui proprio Immobile) vennero fermati dalla Uefa dopo essere risultati positivi all’ultimo giro di tamponi. La Lazio gioca in Belgio contro il Bruges senza Immobile, Strakosha e Leiva (ufficialmente indisponibili per motivi fisici) e due giorni dopo ottobre è di nuovo in Italia. L’1 novembre c’è il Torino, in calendario, e la Lazio sottopone a nuovi al tampone l’intero “gruppo squadra”. Strakosha, Leiva e Immobile risultano negativi, e vanno in trasferta a Torino. Leiva e Immobile giocano pure, Immobile come abbiamo scritto segna il rigore del momentaneo 3-3.

Ma il 2 ed il 3 novembre Strakosha, Immobile e Leiva risultano nuovamente positivi ai tamponi effettuati dalla Uefa. Interviene la Procura della Figc, che apre un fascicolo. I nuovi test condotti dal Campus Biomedico di Roma – e non dal laboratorio di Avellino, a cui si era sempre affidato il club biancoceleste – accertano la positività dei tre calciatori, con conseguente comunicazione all’Asl come previsto da protocollo.

Vista la debole positività di Immobile secondo il protocollo la Lazio avrebbe dovuto comunicare la positività all’Asl di competenza, che avrebbe fatto scattare l’isolamento. La Lazio non lo fa.

Tradotto: proprio contro il Torino la Lazio è sotto indagine e in attesa di processo perché avrebbe contravvenuto a leggi di giustizia ordinaria e sportiva, mettendo a repentaglio la salute di un po’ di persone. Non rispettando lo stesso protocollo che adesso invece difende col cipiglio della vittima.

Potremmo così trovarci in una bizzarra situazione: la giustizia sportiva nelle sue varie forme potrebbe prima annullare la sconfitta a tavolino del Torino e poi comminare lo 0-3 a tavolino alla Lazio per la partita d’andata. Il campo in tutto questo resta tristemente sullo sfondo. Il silenzio, ieri, avrebbe almeno regalato una parvenza di decenza ad un mondo che ha deciso di farne a meno.

La sconsiderata riproposizione, con la stessa metrica, dei fatti di Juventus-Napoli, è paradossale anche per questo. La Lazio, visto il contenzioso in atto, avrebbe potuto almeno evitare di travestirsi da sacerdote dalla probità. Se non per intima autocritica, almeno per questioni di opportunità. L’ottusità funziona esattamente così.

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