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Per i catalani razzisti tu, Diego, eri un sudaca

Vinceva poco il Barcellona e non ti perdonavano niente, meno ancora le notti bianche. Una notte volarono le mani in discoteca e la notizia fece il giro dei giornali

Per i catalani razzisti tu, Diego, eri un sudaca

Quanto durò quella tua felicità bambina? Quando gli dei vollero buttarti giù perché ti eri avvicinato troppo al cielo? Quando ti offristi al sacrificio di te stesso e alla punizione? Quando cominciasti a consegnarti inerme e per la prima volta superbo ritenendoti improvvisamente invincibile?

A Napoli mi dicevi: “A me è venuta la pelle dura per quello che ho vissuto a Villa Fiorito”. La pelle non fu dura abbastanza alle prime insidie della vita, nello stordimento improvviso, sotto i colpi contrari. Il tuo fisico di giocoliere risorse dall’entrata assassina del basco Andoni Goicoechea, che ti fracassò la caviglia sinistra, l’arto magico, su un terreno spagnolo, ma ti concedesti a un avversario subdolo incontrato per gioco e curiosità nelle notti di Barcellona.

Entrasti, Diego carissimo, in un mondo stralunato di soldi, esaltato e soffocato dai 10 miliardi del contratto senza precedenti per il tuo passaggio dall’Argentinos al Boca, e poi i 15 miliardi che per te spese il Barcellona. Soldi e soldi, tanti soldi, soldi anche nelle tue tasche di ex povero con una corte immensa al seguito per vincere la nostalgia di Buenos Aires nella Catalogna nemica che chiama spregiativamente “sudaca”, sporchi, i sudamericani.

Come cambiò la tua vita a Barcellona, nella villa di Pedralbes, il quartiere più “in” della città, tre piani, dieci camere, la piscina e il campo da tennis, due custodi, un cuoco, il giardiniere e due cameriere? Quella fu la frontiera rutilante che tracciò la linea fra le tue due vite, il passato povero di Villa Fiorito e il futuro di dollari in Europa.

Osvaldo Dalla Buona, Victor Galindez, Nestor Barrone, Guillermo Blanco, Giancarlo Laburu il cameraman, Jorge Cyterszpiller il claudicante procuratore, tuo cognato Gabriel Esposito che ti spremeva come una sanguisuga, e tanti altri ancora, il fratellino Hugo e il fratellino Lalo, erano una banda, la banda dei “sudaca” a Barcellona. A Claudia, la fidanzatina bionda di Buenos Aires, brillavano gli occhi sotto le luci delle ramblas. Le sorelle di Diego, papà Chitoro e mamma Tota arrivavano e si fermavano nella villa di Pedralbes. La banda scorazzava di notte. Menò le mani in una discoteca e la notizia fece il giro dei giornali. I “sudaca” hanno fatto una rissa. Facesti il ribaldo, l’orgoglio argentino nelle vene contro i catalani razzisti. Vinceva poco il Barcellona e non ti perdonavano niente, meno ancora le notti bianche.

Così, pibe indimenticabile, iniziò la tua pazzia sottile. Nelle notti catalane annusasti l’agrodolce di una tentazione vaporosa, soffice, una polvere di luna viziosa, la forza candida di una stella esplosa. Lo facesti per gioco, non aiutava a giocare meglio. L’assaporasti per una ebbrezza fulminea e sconosciuta, passeggera. Costava, ma questo non era un problema, ed esaltava, e questo era il massimo. Eri sicuro di domare quell’amica improvvisa e l’inebriante piacere della fantasia che scatenava.

(5 – continua)

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