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Romanzo napolista / L’offerta ad Arpamidis

Ottava puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista / L’offerta ad Arpamidis

Potrei licenziare Zora, ma dove la trovo un’altra come lei? E comunque, quel bastardo di Aristarkos non può fare i suoi comodi sotto il mio naso. Devo essere durissimo, ma discreto. Uno dei due deve pagare per entrambi. Che fare? Così ragionava Egeiros Onassis in quella notte di insonnia nervosa. Il presidente del Dinamis era rimasto vedovo e senza figli ancora giovane e, nonostante le continue offerte di matrimonio che venivano dai padri di famiglia del paese, per i quali sarebbe stato motivo di vanto e di lucro imparentarsi con l’uomo più potente nel raggio di chilometri, per anni aveva continuato sempre a dire che un uomo, nella vita, di donne ne può amare mille, ma sposarne una sola.

Che Zora, una ragazza di città, da quando aveva preso servizio da Onassis ne era presto divenuta l’amante, lo sapevano per certo anche le pietre, ma tutti in paese, sapendo della riluttanza di Onassis a riprender moglie, lanciavano alla ragazza sguardi d’intesa quando la vedevano a passeggio con qualcun altro. Lo stesso presidente, che nella sua vita aveva pensato sempre a correr dietro ai contrabbandi più svariati piuttosto che alle gambe dell’altro sesso, se ne infischiava di quello che Zora andava facendo con gli altri, per lui l’importante era che facesse bene il suo lavoro, fissando il calendario degli appuntamenti importanti e, all’occorrenza, ruotando le grazie come solo lei sapeva fare, per distrarre i soci di Onassis che avevano provato a fare i furbi e permettere al boss di irrompere sul più bello alle loro spalle e andarci giù di brutto con le mani. Per il resto, al presidente bastava che Zora ogni tanto gli cedesse, quelle rare volte in cui non pensava a bere o a far soldi. Ma quel giorno, vedendo Zora e Aristarkos baciarsi davanti a lui, con la risatina sfottente dell’imbattuto Castano che faceva da sfondo, Onassis si trovò a fare i conti con un improvviso assalto di gelosia. Non riusciva proprio a capire cosa gli avesse preso, proprio lui che tagliava corto con frasi del tipo ‘un uomo ha problemi solo davanti all’artiglieria del nemico’. Era che in quella dannata mattinata, sul campo di gioco, le cose avevano preso una piega così assurda, – ragionava ancora Onassis pensando ai cinque rigori – da sembrare che tutti i presenti si fossero come accordati per fargli gonfiare il fegato. In particolare, ancora si irrigidiva nel suo letto per come quello sbruffone di Castano lo avesse costretto ad assicurargli, davanti al paese intero, la maglia numero dodici, dopo che, fino a pochi istanti prima, lo aveva minacciato di cacciarlo dal paese. Il fatto che un sedicenne qualsiasi lo avesse messo alle corde, facendogli rimangiare la sua parola, lo faceva sudare freddo, come se avesse avuto una Magnum puntata alla gola. E poi i baci tra quei due, che umiliazione! In altre occasioni neanche se ne sarebbe accorto, ma in quel momento no, si era sentito come schiaffeggiato da chi avrebbe avuto solo da ringraziare. Come si era permesso il suo portiere Aristarkos a baciare Zora subito dopo quei penosi tiri dal dischetto?

Un solo istante dopo aver consegnato la fama di pararigori ad Orson, che di suo non aveva meritato nulla e si era attirato gli applausi muovendosi sulla linea più da saltimbanco che da portiere? Certo, erano pure questioni di orgoglio, che si agitavano solamente nella sua testa, ma Onassis, che con l’orgoglio era diventato una persona da rispettare, si sentiva in una trappola da cui sarebbe potuto uscire solo a modo suo, facendola pagare a qualcuno. Poco prima dell’alba, destandosi da un breve torpore, scattò seduto sul letto e, alzando l’indice della mano destra, pensò di aver trovato la soluzione. Zora mi è troppo utile, – sentenziò Onassis – e poi il vero stronzo è stato Aristarkos, che avrebbe dovuto solo farsi un bagno di cenere, dopo quella figura da storpio! Ho deciso! Vado da Arpamidis e lo costringo a restare, promettendogli la numero uno. Aristarkos pagherà con la panchina a vita e se obietta qualcosa gli dico che, con i piedi che si ritrova, i suoi rilanci in avanti sono solo assist per gli avversari. Poi vado da Reginaldo e per cucirgli la bocca gli prometto Cinzano gratis per un mese. Il cerchio è chiuso! Preso dalla sinistra euforia che gli saliva lungo la colonna vertebrale quando aveva l’impressione di aver architettato un piano blindato, Onassis si vestì senza farci caso e uscì in strada con la giacca a rovescio, sicché le spalline gli penzolavano seguendo i suoi movimenti sgraziati e le due pistole, inguainate in una fondina cucita alla giacca, presero a ciondolare più in vista della sua pancia. Le due o tre vecchine che a quell’ora erano già in piedi e innaffiavano le piante fuori la porta di casa, vedendolo passare così conciato si piegarono verso l’uscio, convinte che Onassis stesse partendo per una spedizione di morte. Alza il culo dal letto, Arpamidis! – urlò Onassis davanti all’uscio di casa del portiere in seconda, bussando violentemente con il calcio di una Beretta 7,65 – sono il tuo presidente e devo parlare con te! Apri subito questa cazzo di porta, se non vuoi che te la riempia di piombo! Dopo pochi istanti Arpamidis venne ad aprire. Aveva addosso il saio e nella mano sinistra recava il libro della liturgia ortodossa, con l’indice ficcato dentro a mo’ di segnalibro. Pace a lei, presidente, si accomodi. Ma prima, la supplico, riponga quelle pistole su questa mensola, perché l’unica arma ammessa nella mia casa è la fede. – furono le sue prime parole. Di’ un po’, ragazzo, – chiese scorbutico Onassis – ma tu ci dormi con quel saio? No, presidente, sarebbe irriguardoso per ciò che rappresenta, sono in piedi dalle quattro e mezza per recitare la liturgia mattutina, sa, sto abituandomi agli orari del monastero, la mia partenza è alle porte – spiegò imperturbabile Arpamidis. Poi aggiunse: “Scusi, presidente, non si offenda se le faccio notare che ha indossato la giacca a rovescio”. Oh, certo, ma sì, certo, grazie – disse Onassis visibilmente imbarazzato, iniziando ad armeggiare goffamente per rimettersi in ordine e posare l’artiglieria. Ti devo parlare, ragazzo! – blaterò Onassis sedendosi su una panca di legno su cui erano accese tre candele che illuminavano una piccola icona del Pantocratore – Io sono ancora il tuo presidente e sono venuto a dirti che da molti giorni, sai, pensavo che in questi due anni tu hai dato al Dinamis più di quello che il Dinamis abbia dato a te. La tua religiosità, i tuoi sermoni sulle Scritture, sono state cose importanti per cementare lo spogliatoio in momenti difficili e, anche se non abbiamo ugualmente cavato un ragno dal buco, se non la consolazione del sesto posto, il Dinamis ti deve riconoscenza. Ho sempre pensato che La Cruz abbia fatto male a non farti mai alzare il culo dalla panchina. Che Dio l’abbia in gloria, signor presidente, – disse Arpamidis visibilmente emozionato – serberò sempre nel cuore la sua gratitudine e non mi dimenticherò di lei, nelle mie preghiere.

Tranquillo, ragazzo, – ribatté Onassis iniziando a lavorarsi tra i denti una stecca di liquirizia – non sono venuto qui a elemosinare raccomandazioni per l’altro mondo, ma per dirti che tu devi restare un Dinamis e l’anno prossimo la musica cambierà, ho già preso accordi con La Cruz: la tua tenacia di uomo-spogliatoio ti ha fatto meritare la maglia numero uno. Presidente! – disse Arpamidis afflosciandosi lentamente su una sedia, e non trovò altre parole, esterrefatto com’era che Onassis, dopo averlo ignorato per due anni, fosse andato fino a casa sua all’alba per l’investitura da titolare. Sì? – intervenne Onassis – Che cazzo ti prende ragazzo, ti sei inceppato? Presidente! – ci riprovò il pio portiere – La sua generosità non ha confini e Dio saprà tenerne conto, ma io proprio non posso! Come sarebbe a dire non posso? – urlò Onassis alzandosi di scatto dalla panca – Che vuol dire non posso, razza di verginella ingrata, ehi, svegliati pidocchio, io sono Egeiros Onassis e ti sto dicendo che da settembre farai le scarpe ad Aristarkos! Signor presidente, la prego, – cercò di schermirsi Arpamidis – comprenda la mia posizione, ne parlammo già durante l’inverno, quando arrivò il nulla-osta dell’igumeno per il mio ingresso in monastero, dopo che lei stesso mi aveva autorizzato ad avviare l’iter, per non parlare, anche se è secondario, del fatto che il Sotèr Evangelion da un anno non ha un portiere di ruolo. Il nulla-osta dell’igumeno è un fatto di sei mesi fa, di quando ancora ti consideravo un caprone che era meglio perdere che trovare! – borbottò Onassis, che iniziava a sentirsi stretto nelle fandonie che rifilava al ragazzo – Con quel pezzo di carta io, Egeiros Onassis, ti autorizzo a soffiartici il naso, tu sei un Dinamis e non schiodi da qui! Signor presidente, se parla così, lei ricatta il mio spirito. – disse con fermezza Arpamidis – Questa è una prevaricazione contro la mia libertà. Prevaricazione! – urlò Onassis facendosi rosso di rabbia – Che cazzo ne sapete di prevaricazioni voi preti pacifisti? Ti sto dando la possibilità di essere titolare del Dinamis, e l’anno prossimo, partendo riposati, saremo nell’élite del campionato, ti sto strappando ad una squadra che è un’accozzaglia di barbuti in gonnella! Io ti sto promuovendo, pivello, non prevaricando! Signor presidente, ora basta! – s’impuntò Arpamidis levandosi in piedi, mentre la tensione gli faceva tremare vistosamente gli zigomi e le sopracciglia – Non permetterò che lei continui a bestemmiare contro la religione e contro i miei fratelli, e per giunta venendo a rompere la pace della mia casa!

Allora Onassis restò un bel po’ in silenzio, il tempo di rendersi conto che la sua idea di recuperare Arpamidis, oltre ad essere poco brillante, lo aveva portato ad un accanimento cui era normale spingersi con gli amici e i nemici che aveva nel contrabbando, ma di certo non con uno che stava per rinchiudersi in un monastero. Sempre in silenzio, si alzò, andò verso l’uscio, seguito da Arpamidis, infilò la giacca e prese dalla mensola l’artiglieria. Il contatto con le pistole, che per Onassis erano a tutti gli effetti protesi del corpo, gli fece rapidamente risalire l’abituale protervia, lo ricollocò nel suo ruolo naturale e, mentre le assicurava alla fondina, guardando minaccioso il ragazzo, sbottò: “Va bene, prete! Hai fatto la tua scelta. Ora hai ventiquattr’ore di tempo per portare il tuo culo ortodosso fuori dal mio paese, tanto hai pure chi ti sta già aspettando. Domattina passerò di qui e se sei ancora in casa ti porto fuori a fare una passeggiata. Ma ricorda: se a casa tua l’unica arma è la fede, tutt’intorno c’è un arsenale molto più vario!” Che Dio la protegga, presidente. – disse Arpamidis con poca convinzione, sporgendosi sull’uscio. E Onassis: “Per quello mi basta la semiautomatica”.

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