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Come il calcio cambia le cose: l’ultimo Italia-Svezia nei giorni del fallimento del Napoli

Come il calcio cambia le cose: l’ultimo Italia-Svezia nei giorni del fallimento del Napoli

Dodici anni fa, meno un giorno. L’ultima sfida in competizioni ufficiali tra Italia e Svezia si è giocata a Guimarães, nord del Portogallo, il 18 giugno del 2004. Tutti ricordano quella partita per il gol di tacco di Ibrahimovic, o al massimo per la rivoluzione trapattoniana che lanciò Pirlo e Cassano titolari in luogo di Camoranesi e Totti (squalificato per lo sputo a Poulsen). Segnò proprio Cassano, di testa, su cross dalla destra di Christian Panucci. L’Italia non giocò male, ma fu punita a tempo quasi scaduto da un colpo di taekwondo del gigante svedese che di lì a poco avrebbe firmato per la Juventus.

Il 22 giugno, quattro giorni dopo, l’Italia avrebbe vinto per 2-1 contro la Bulgaria. Una vittoria inutile, perché il 2-2 tra Danimarca e Svezia rese inutile quel risultato. Nello stesso giorno, alle 19 e 40, si era dimesso Toto Naldi. La Ssc Napoli, il 24 giugno 2004, sarebbe entrata ufficialmente in stato di liquidazione. Fallimento, dunque. Il solo epilogo possibile, ancorché giusto, di una storia lunga 78 anni e scritta malissimo negli ultimi dieci.

Oggi, dodici anni meno un giorno dopo, tutto si è ribaltato. L’Italia gioca un Europeo da outsider, cominciandolo anche bene con quella che, comunque, resta una vittoria a sorpresa contro il favorito Belgio. Contro la Svezia (che è ancora di Ibrahimovic, tra l’altro) si gioca un prematuro quanto insperato, date le premesse, passaggio agli ottavi di finale, un mese dopo che il Napoli ha conquistato la sua terza qualificazione Champions (e mezzo, maledetta Bilbao).

Ce l’avessero detto durante gli Europei di dodici anni fa, probabilmente, non ci avremmo creduto. Avremmo riso, di gusto, preparandoci a un destino che sarebbe stato definito addirittura un mese e mezzo dopo, a inizio settembre, e dopo un’estate da pazzi che sul Napolista è stata minuziosamente ricostruita e raccontata da il Ciuccio (qui). Il Napoli sarebbe finito in Serie C1, terzo gradino della piramide calcistica italiana, per la prima volta nella sua storia. Proprio mentre l’Italia-nazionale, passata nelle mani di Marcello Lippi dopo l’Europeo portoghese (a cui era arrivata da favorita assoluta, e basta consultare l’elenco dei convocati per capire perché), costruiva inconsapevolmente la vittoria Mondiale che avrebbe colto due anni dopo a Berlino. Una Coppa del Mondo arrivata a due mesi e mezzo di distanza dalla promozione in Serie B della Napoli Soccer, che nel frattempo aveva giocato due campionati tra Sassari, Massa Carrara, Gela, Acireale.

Non è, questo, un articolo di celebrazione della gestione De Laurentiis o sul rapporto tra il Napoli, la città e la Nazionale. No, vuole solo far capire quanto le cose possano cambiare, in meglio o in peggio, in un lasso di tempo ampio, sì, ma non abbastanza da rappresentare un campione storico. Basti pensare che i nati nel 2004, durante quest’anno, hanno spento una torta con appena 12 candeline. Che i due giovani più attesi di quell’Europeo, Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic, sono ancora lì a guidare le loro squadre. 

Eppure, i ruoli tra Napoli e Nazionale si sono ribaltati. Se la seconda, dopo l’apice del 2006, vive di exploit improvvisi che elevano la mediocrità (Euro 2012, ok, ma anche due eliminazioni ai gironi dei Mondiali), il club partenopeo viaggia sempre al di sopra del quinto posto dal 2011, ed è in Europa ininterrottamente dal 2010. Ha arruolato tre dei dieci giocatori più forti della sua storia (Hamsik, Cavani e Higuain; quattro, per i romantici che amano Lavezzi), ha conquistato tre trofei in un palmarés che ne conta 10 in tutto. Ha ritrovato dignità, rimanendo sempre a un passo massimo due dal vincere lo scudetto (che è la stessa cosa sbandierata da chi critica questa società, tra l’altro). In un certo senso, è rinata a vita nuova, anche se a qualcuno non basta.

Se pure non volessimo parlare di Napoli, ma di altre squadre, pensiamo a Juventus, Milan e Inter. A quanto sia cambiato, anche per loro in questi dodici anni. La prima è rimasta forte nello stesso modo pur avendo passato il dramma sportivo (e autoinflitto) della retrocessione in Serie B per la storia di Calciopoli; i rossoneri hanno prima conosciuto un periodo tra i più belli della loro storia (due Champions e una finale) prima di sprofondare in una crisi che sembra senza uscita; i nerazzurri, infine, sono stati derisi per un paio d’anni prima di diventare una squadra in grado di ribaltare risolini e maledizioni e di arrivare fino al tetto del Mondo, per poi colare di nuovo a picco. Un’altalena per tutti, compresi noi. C’è, però, chi maledice questi anni o alcuni di questi (il Milan, forse anche l’Inter) e chi invece dovrebbe assolutamente benedirli. Noi siamo tra questi, con buona pace di una nazionale che oggi può dare un altro punto alle sue ferite. Battendo Ibra lo spauracchio.

PS. C’è poco da fare, comunque: Italia-Svezia segna sempre un’epoca del Napoli, in positivo o in negativo. I due match ufficiali precedenti a quello di oggi e a quello del tacco di Ibrahimovic risalgono all’Europeo del 2000 e alle qualificazioni per Germania ’88 (campionato europeo). Sedici anni fa, il Napoli festeggiava con Novellino (e Ferlanino, e Corbelli) una promozione in A dal retrogusto amaro e dal progetto (si seppe poi) parecchio fallace. Nel 1987, invece, si giocò proprio al San Paolo: 2-1 per gli azzurri di Vicini, doppietta di Vialli. Il Napoli portava lo scudetto sulle maglie, ed era ancora primo in classifica.

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