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Per capire Hamsik ci viene incontro Carmelo Bene

Per capire Hamsik ci viene incontro Carmelo Bene

A giudicare dai copiosissimi contro-commenti scatenati dall’articolo di Max Gallo a commento delle parole di Hamsik, mi pare evidente che ci troviamo dinanzi al famigerato nervo scoperto. O, più semplicemente, ad un nodo critico della questione. Evocativo, in tanti sensi differenti e per ciascuno di noi.

Vale niente, quindi, aggiungere il commento infinito-più-unesimo. Ma forse aiuta soffermarsi su un concetto, che l’onestà indiscussa di questo atleta ha messo inequivocabilmente in evidenza anche oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Il ruolo di trequartista si può intendere in modi diversi e con varie filosofie. Quella di Benitez mi ha messo un po’ in difficoltà“. Chiaro ed essenziale. È il tema della difficoltà. Del luogo in cui ci sentiamo a nostro agio e perché; e del dove ci conduca la ricerca di quanto ci rassicura e ci fa stare – come si dice dalle nostre parti – in grazia di dio. Ed è un tema principe, specie quando, come in questo caso, grandi moltitudini si spostano in difesa o contro una persona e quanto essa rappresenta.

Mi viene in mente un genio immenso, tra l’altro del sud. Carmelo Bene (che nel calcio vedeva restituita di prima intenzione, quasi con maggiore potenza e compiutezza che nel propria straordinaria vicenda artistica, la sua idea di teatro) riteneva che il complicarsi la vita, il crearsi una serie minuziosa di handicap, l’incespicare volontariamente nei propri abiti, fosse un vero e proprio metodo; anzi l’unico metodo per avere un senso estetico di sé. Una volta, in un celebre dialogo con De Filippo, ebbe a dire: “Eduardo scrive a monte qualcosa che poi potrà minare in scena, da quel grande attore che è. Non so quanto scientemente, lui si predispone la sua trappola, il famigerato copione cui crede tanto, tanto da restare ai posteri. In questo è donchisciottesco, e lo amo molto. Come si fa a non amare Don Chisciotte?”

La vita artistica, la vita di coloro che servono l’arte, e tra i quali ho ragione di credere Bene avrebbe a buon diritto annoverato i grandi campioni del calcio, risponde alla medesima logica: imparare fino allo sfinimento la tecnica, il modulo, l’equivalente del “testo” teatrale per poi dimenticarlo sul campo, abbandonarsi e divenire servi della classe, servi del calcio. Venire giocati dalla palla piuttosto che giocarla, come hanno fatto in tutti i tempi i più mirabili tra i calciatori del pianeta. Venire detti, piuttosto che dire.

Dunque, per fare tutto questo, come si procede? Carmelo Bene dice che il senso estetico passa per la complicazione dura e volontaria. Lo studio profondissimo di tutto quanto costituisce il tuo habitat naturale, il tuo confine evidente, per decidere scientemente di gettare tutto nell’oblio, di dis-impararlo in scena o – se volete – sul campo.

Hamsik, da quell’atleta coscienzioso e responsabile che è, ha viaggiato negli ultimi anni lontano dai suoi lidi. Gli è stato chiesto di interpretare un ruolo diverso da quello che lui stesso e gran parte del mondo circostante ritengono gli sia stato cucito addosso dal destino, dalla sua tecnica o solo dalla ragionevolezza del calcio. Il paradosso è che la ragionevolezza del calcio, a volte, uccide il calcio stesso, proprio come l’arte e la cultura sono sempre stati considerati consolatori e semplicemente decorativi da Bene. Oggi lo slovacco confida quanto si sapeva, ovvero che lì, lontano dal suo porto sicuro, tutto sommato ci stava maluccio. Eppure, mentre percorreva quelle zone tribolate nell’ultimo anno, ha firmato nero su bianco la sua migliore stagione in azzurro. I numeri sono chiari ed eloquenti.

Come si fa, allora, a non amare Don Chisciotte? E come si fa, dunque, a non amare Hamsik? Quel Don Chisciotte rappresenta così tanto di Napoli e di noi napoletani, forse più di quanto egli stesso ne sia consapevole. Egli ci mostra la sua imperfezione, che è anche la nostra, ed è da sempre figlia della paura di lasciare Santa Lucia sui famosi bastimenti; una paura consolata dalla tempestiva premura che hanno tutti quelli che ci sono attorno nel rassicurarci – facendo il bene di chi, poi? – che quel normale sentimento di spaesamento misto a timore di smarrirsi definitivamente è non solo normale, ma necessario. È ragionevole. Ma, in quanto ragionevole, anche noioso.

Devo anche dire che, per il futuro e su questa falsariga, confido in Sarri. Un uomo che è sembrato subito intelligente. Che conosce il senso ed il dolore dei porti. Che sa stare al mondo. Il mondo in cui, per vivere e non sopravvivere, devi complicarti la vita.
Raniero Virgilio

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