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Luciano Violante dedica un libro a sua madre, «perché mi ha dato la vita, mi ha salvato» (La Stampa)

Racconta di quando sua madre lo ha partorito in un campo di concentramento senz’acqua, infestato dai pidocchi. Le altre prigioniere le avevano consigliato di abortire: come puoi mettere al mondo un bambino in quest’orrore, in questa “pattumiera inglese”?

Luciano Violante dedica un libro a sua madre, «perché mi ha dato la vita, mi ha salvato» (La Stampa)
Roma 13/12/2017 - presentazione del libro 'Sereno e'. Scena e retroscena di una legislatura spericolata' / foto Samantha Zucchi/Insidefoto/Image nella foto: Luciano Violante

La Stampa intervista oggi Luciano Violante, ex presidente della Camera, professore universitario di diritto penale e magistrato, che ha appena scritto un libro «Ma io ti ho sempre salvato» un saggio sull’innamoramento del nostro tempo per la morte.

Violante, si è messo a nudo. «Era un dovere verso mia madre. Perché mi ha dato la vita, mi ha salvato e, anche se il suo abbandono, è stato un trauma, dopo è tornata a cercarmi e siamo riusciti a riannodarci. Ho più di ottant’anni: è arrivato il momento di dirle che le sono grato, che ho capito, e di restituirle qualcosa».

«Ma io ti ho sempre amato» è l’ultima cosa che sua madre gli ha detto prima di morire. Nel libro racconta di sua mamma e delle sue tante rinascite

“La prima, quando sua madre lo ha partorito, il 25 settembre del 1941, a Dire Daua, Etiopia, in un campo di concentramento senz’acqua, infestato dai pidocchi. Le altre prigioniere le avevano consigliato di abortire: come puoi mettere al mondo un bambino in quest’orrore, in questa “pattumiera inglese”? La seconda, che ne ha contenute molte, nel 1943, quando sua madre lo ha protetto mentre scappava, a piedi, da Napoli alla Puglia, per raggiungere suo padre, giornalista comunista. L’altra, quando sua madre lo ha abbandonato ed è andata via di casa: lui aveva 11 anni e lei non sopportava il marito, suo padre, che aveva addosso il trauma del campo e della guerra, e una volta le aveva persino chiesto: suicidiamoci insieme. L’altra ancora quando lui era appena stato eletto alla Camera, lei è tornata e gli ha raccontato la sua, la loro storia, anche se non tutta: non si deve sapere tutto, diceva”.

C’è un particolare, nel suo racconto di quando è nato: la compagna di prigionia di sua madre che taglia il suo vestito da sposa, che aveva portato con sé nel campo, per farne le fasce in cui avvolgerla. È quella la “genitorialità sociale”? «Zia Zoe. A lei mia madre mi affidava quando nel campo doveva allontanarsi dal suo posto: la mia culla era un cassetto che vigilavano entrambe, alternandosi. E sì, quella è la genitorialità sociale: crescere i figli di tutti, non solo i propri. Le mie zie, quando mia madre è andata via, hanno cresciuto me e mio fratello e lo hanno fatto splendidamente, sono state strepitose».

Le famiglie ora sono più chiuse?

«Sono isolate perché sono sole. È venuta meno la comunità e le istituzioni che prima avevano una vocazione comunitaria, la chiesa e i partiti, l’hanno persa. I partiti sono collettività votanti e non più pensanti. Il Papa ha detto: viviamo un cambiamento d’epoca e non un’epoca di cambiamenti».

Scrive che in questo cambiamento non siamo stati ancora capaci di darci un destino. «Durante la Guerra Fredda, nei momenti di tensione più alta, vennero firmati accordi per evitare esperimenti nucleari e si fecero trattative per l’esplorazione della luna. Nella guerra fredda c’erano autorità americane e russe che lavoravano affinché il destino dell’umanità proseguisse: preparavano il futuro, curavano il presente. Nonostante tutto».

Non dovremmo una volta per tutte accettare che non possiamo dominare niente? Possiamo stare al mondo senza metterci al centro? «Certo.Eledicocome:credendo alla vita. Più che alla pace, bisogna credere alla vita. Io credo che la vera battaglia non sia tra guerra e pace, ma tra vita e morte. Pace e guerra riguardano gli Stati, vita e morte riguardano le persone». Ma, in concreto, cosa significa credere alla vita? «Mettere insieme le politiche, che io chiamo “biopolitiche”, che si occupano della vita, e cioè di scuola, sanità, lavoro, retribuzione adeguata. Un buon governo dovrebbe creare un dicastero in cui farle rientrare tutte, una dentro l’altra».

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