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Il “tenue” razzismo non punibile delle curve italiane: la supercazzola entri in Costituzione

La giustizia ordinaria sancisce che in Italia si può essere razzisti. Basta farlo piano piano, allo stadio, e in compagnia

Il “tenue” razzismo non punibile delle curve italiane: la supercazzola entri in Costituzione
Mg Milano 13/05/2023 - campionato di calcio serie A / Inter-Sassuolo / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Romelu Lukaku

Il “tenue” razzismo non punibile delle curve italiane: la supercazzola entri in Costituzione

In Italia, dunque, si può essere razzisti. Basta farlo piano piano, doce doce. Con la delicatezza tipica d’una curva italiana infoiata in una notte di Juve-Inter. Il sostantivo che usa la giurisprudenza italiana è “tenuità“. Per la Procura di Torino, che ha chiesto l’archiviazione per i circa 150 razzisti che la sera del 4 aprile 2023 ulularono di tutto a Romelu Lukaku – soprattutto «scimmia del cazzo», a sbobinare i video imbarazzanti che vide mezzo mondo – quella poltiglia di energumeni non va punita. Perché le offese chiaramente razziste furono sì razziste, ma durarono poco, e poi c’erano le «evidenti ragioni di rivalità sportiva»: gli indagati si «influenzarono l’uno con l’altro». Da qui il ricorso all’articolo 131 bis del codice penale, che cancellerebbe così quella storia ignobile.

Vale la pena di ricordare che in quel contesto Lukaku fu ammonito per aver esultato dopo il gol come faceva di solito, portandosi un dito alla bocca per zittire tutti. E fu squalificato. L’arbitro lo punì per aver “provocato” i tifosi. Giustificato in parte anche dal designatore Rocchi: “I calciatori devono darci una mano, perché se diventi provocatore diventa un problema”, disse.

Il caso montò. E allora Gravina dovette intervenire graziando l’attaccante dell’Inter (non era ancora considerato un traditore, all’epoca). Il presidente della Figc, temendo per la figuraccia internazionale, scartabellò il regolamento e vi rintracciò la prerogativa di riparare ai torti come un presidente della Repubblica (delle banane, aggiungeremmo per restare in tema).

Non poteva dunque esimersi la giustizia ordinaria, con i suoi tempi, a ricordarci che metaverso sia ormai l’Italia: un posto nel quale chi viene chiamato “negro di merda” da una fauna di invasati finisce squalificato, e chi invece inveisce, offende, sputa indecenze, no. Sancendo, nero su bianco (ops), che in Italia il razzismo non è un’infamia da censurare, ma che anzi è diritto del razzista non finire zittito provocatoriamente dalla sua vittima. Lo scrivemmo già all’epoca: a Lukaku andò persino bene, avrebbero potuto indagarlo per omessa sottomissione, o resistenza a pubblico razzista.

Ma il principio per cui un’orda di centinaia di disgraziati (è sempre difficile colpevolizzarli, i disgraziati) sia da giustificare nei suoi peggiori comportamenti per “rivalità sportiva”, e per la cattiva influenza dell’uno verso l’altro, è un capolavoro di società postfattuale.

In Italia si può delinquere, e questo pure lo sapevamo. E c’è libertà di razzismo, come di culto. A volte è persino premiante. Ma non sapevamo che tra le mille attenuanti generiche possiamo contare sulla fantascienza: il romanzo nazionale che definisce un intero settore d’uno stadio di calcio “tenue”. Come l’intestino. Quel non-luogo abitato da poche – CENTOCINQUANTA – educande che sotto voce, quasi sospirando l’uno nell’orecchio dell’altro, si influenzano vicendevolmente facendo il verso della scimmia. Un uh! uh! uh! in crescendo inconsapevole, istintivo, irrefrenabile. Come un gioco del telefono senza fili finito malissimo: il primo ultrà aveva solo detto al suo vicino “Lukaku è pazzo”, e l’ultimo della catena aveva inteso e urlato “scimmia del cazzo”. 

La supercazzola era il trucco del conte Mascetti quando voleva confondere l’interlocutore. E’ diventata la nostra Costituzione.

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