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In trasferta è finalmente tornato ‘O surdato ‘nnammurato, cantiamolo anche a Napoli

È il vero inno della squadra. Assurdamente ostracizzato dalla tifoseria organizzata. Si è sentito a La Spezia e col Sassuolo. Pacifichiamo il presente e il passato

In trasferta è finalmente tornato ‘O surdato ‘nnammurato, cantiamolo anche a Napoli
Db Reggio Emilia 17/02/2023 - campionato di calcio serie A / Sassuolo-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: tifosi Napoli

Il soldato innamorato è tornato a cantare sugli spalti partenopei. Addio all’incredibile (e plebeo) veto degli ultras di intonare Oi vita mia durante le partite del Napoli? Questo non è detto. Facciamo un attimo un passo indietro.

È il minuto ’72 e al Picco di La Spezia si alza prima timido e poi sempre più forte il ritornello di ‘O surdato ‘nnammurato a fare da controcanto ai vergognosi cori razzisti dei tifosi liguri. Tempo un minuto e Kvara serve Osimhen per il definitivo 0-3 azzurro. A volte il fato sembra scherzare con una serie di fortunati eventi che nemmeno i film americani. Loro sputano razzismo e odio, noi rispondiamo con l’inno all’amore disinteressato e arriva un gol a ringraziarci. O a punire la hybris ingiustificata del pubblico spezzino. Tant’è. Poi, nelle varie trasferte Sassuolo compreso, la storia si è ripetuta.

Questi i fatti. Potrebbe essere la volta buona che la nostra canzuncella torni al suo posto anche al Maradona. Già l’anno scorso, per onor di cronaca, la melodia aveva fatto capolino dopo qualche partita. Contro la Roma, poi, Clementino e Fatima Trotta hanno rotto il ghiaccio. Speriamo si torni a cantare.

In primo luogo per spezzare un’altra catena con cui gli ultras esercitano il proprio potere sul tifo. Il diktat dei gruppi rientra a pieno titolo in quella insopportabile retorica del tifo organizzato. In quel linguaggio un po’ plebeo, un po’ cupo, molto populistico propagandati dagli ultras di tutta Italia, Napoli compresa. La stessa retorica (furba) che li porta a cantare “difendo la città”. Ma da chi? Perché? Come? È lo stesso linguaggio, che poi è dimora dell’essere e scintilla del pensiero, stampato nel coro “in un mondo che, non ci vuole più, canterò di più”, gli assurdi striscioni come “Meglio la C che un presidente così”, “Adl bagarino” fino a quelli contro Spalletti e Kim. Insomma, un modo di fare noto che parte dai gruppi organizzati e contagia anche tanta (piccolo)borghesia napoletana ed arriva fino alla follia irrazionalistica del “movimento” #A16. Tutto si tiene in qualche modo. Una retorica che prova a intestarsi l’unicità del tifo, dipinge la militanza ultras come sacrificio e detentrice unica della passione autentica, insulta chi vede la partita a casa o al pub. E spesso e volentieri, invece, si è trasformata in forza entropica invece che valore aggiunto, un tappo cupo che se assecondato porta dritti ad episodi di violenza e incredibili faide con tifoserie di altri club.

Occorre una precisazione: qui non si vuole cadere nella trappola riduzionista di pretendere un calcio senza gruppi, senza ultras, totalmente scevro di questi aspetti sociali e antropologici che invece sono dentro il mondo del pallone e che in alcuni casi producono anche entusiasmo ed empatia. I cori sono belli, le coreografie pure, così come perfino le note negative fanno parte del gioco. Come nella politica, nella storia dell’uomo. Bisogna però mantenere sempre equilibrio e dialettica, ad un potere opporne sempre un altro.

Torniamo a Oi vita mia. È stato bandito dal San Paolo (poi Maradona) anni fa per una somma di motivi assurdi: perché non è un prodotto ‘made in ultras’, per contestazione contro la società e perché, forse, si tratta di un inno proiettato solo verso un universo di emozioni positive (seppur malinconiche) e privo di qualsiasi polemica e intento contestatorio. È un inno all’amore disinteressato, nella sua spontaneità naif può essere cantato sugli spalti ma anche da Anna Magnani di fronte ai reduci di guerra per raggiungere vette poetiche che la canzone in sé non possiede. Insomma, probabilmente disturba il partito politico degli ultras perché incontrollabile. Come dovrebbe essere il tifo.

Sarei inoltre felice si tornasse a cantare ‘O surdato ‘nnammurato per spegnere antiche polemiche altrettanto sciocche. Ricordo tante discussioni sull’ipotetico “provincialismo” di questa canzone. Un errore ottico imperdonabile. Esistono due tipi di provincialismi: chi non esce dal paesello e chi scimmiotta gli altri rendendosi ridicolo. L’ansia da provincia è essa stessa provinciale. Se Napoli è una capitale del mondo possiamo tranquillamente cantare in lingua.

Infine, credo sia l’ora di pacificare il passato con il presente. Ed il futuro. Cantiamo, se ci va, gli inni vecchi e nuovi. Senza dover ogni giorno addentrarci in confronti metodologicamente improbabili tra le vicende sportive ed umane del Napoli.

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