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Antonio Rossi: «Posai per una rivista vestito della sola pagaia, andai in copertina e successe un putiferio»

L’ex campione olimpico di canoa al Corriere Milano: “Ho avuto un infarto in una gara in bici, mi scocciava dire che stavo male e sono quasi morto»

Antonio Rossi: «Posai per una rivista vestito della sola pagaia, andai in copertina e successe un putiferio»

Antonio Rossi, l’ex campione olimpico di canoa plurimedagliato – tre ori mondiali, uno europeo, cinque Olimpiadi con tre ori, un argento e un bronzo – ha raccontato al Corriere Milano di quando il 18 luglio 2021 ha avuto un infarto pedalando per la Granfondo Pinarello a Conegliano.

«Non volevo farmi superare, inoltre non mi sembrava giusto creare preoccupazioni a Fausto Pinarello, che per un malore aveva perso il fratello. Ripetevo: mi riprendo, sto qui sul muretto, non è niente. Invece non passava. Avevo fatto una salita e sentivo la nausea, ipotizzavo fosse una congestione, è arrivato il formicolio. Intanto mi sfrecciavano davanti gli altri: tutto bene? Sì, bene. Sarà stato il caso ma io che non salvo mai il numero del pronto intervento alle gare in quel caso l’avevo memorizzato sul cellulare. Dopo che è arrivato il cambio della gomma, con lo scooter su cui non sono riuscito a salire, è partita l’allerta. Test sul posto e verdetto: non ti muovi, stai avendo un infarto».

E quel giorno la sua vita è cambiata.
«Prima mi sentivo indistruttibile, non temevo allenamenti duri. Adesso mi scatta il panico se mi taglio e vedo il sangue che non si ferma per via degli anticoagulanti. Le medicine le prendo ancora, sono passati quasi tre anni, sto bene ma ho cambiato approccio: so che basta un attimo per cancellare tutto, perché il fisico ti molli».

Oggi, a 55 anni collabora con il Comitato olimpico Milano-Cortina 2026.

Una volta ha detto: «So di aver rovinato tanti atleti, forse più di quanti ne sono riuscito a ispirare».
«L’ho scritto in un articolo e va contestualizzato. Raccontavo di essere sempre stato convinto di non avere un gran talento fisico e dunque che l’unico modo per emergere fosse lavorare più degli altri».

Almeno il 15% in più, quantifica anche questo.
«Non era un modo di dire, era un calcolo matematico legato ai risultati. Quando ho vinto il mio primo titolo italiano facevo ancora il liceo e avevo una vita non dedicata del tutto allo sport. Poi ho capito che dovevo andare oltre. Negli allenamenti inserivo 10 chilometri di nuoto: secchi, ogni mercoledì mattina alle 8. Ci mettevo una vita a farli e arrivavo alla fine che non sapevo nemmeno dov’ero. Dico che ho rovinato tanti atleti perché ho alzato l’asticella e quando, con i risultati, sono diventato un riferimento, all’improvviso gli allenatori volevano imporre ai propri ragazzi la stessa routine».

Visto oggi, è troppo?
«Sono tecniche, ognuno deve fare ciò che sente. Quei dieci chilometri forse non servivano a molto eppure di testa mi facevano stare bene. Per studiare il mio battito usavo la carta millimetrata: un puntino ogni 5 secondi per allenamenti di un’ora e mezza. Mandavo i grafici via fax al coach. Sembra incredibile adesso eppure sono cose che non ti pesano se hai grandi progetti».

Ha scelto Jury come secondo nome per suo figlio in onore di un amico, è vero?
«Jury Chechi. È un fratello. C’era alla gran fondo di Conegliano, tra i primi che ho cercato dopo aver capito che stavo male davvero. Ha chiamato lui mia moglie Lucia. Momenti brutti e momenti belli: ne abbiamo vissuti di ogni insieme».

Quando vi siete incrociati?
«Nel 1996. Non al Villaggio Olimpico, come si potrebbe pensare, bensì al concorso di Miss Italia: lui era il presidente della giuria e io un giurato».

Un aneddoto di Rossi e Chechi insieme.
«Ce ne sono tantissimi, mi faccia pensare…». In sottofondo si sente la moglie di Rossi suggerire qualcosa.  «No, quella del carrello non la posso dire: sono una persona rispettabile».  Ridono entrambi.

Quindi?
Nuovo consulto.
«Nel 2004, per Telethon, siamo stati alcuni giorni a New York e ci siamo divertiti parecchio, mentre a casa le rispettive compagne ci aspettavano. Il patto era ripartire per Corvara tutti insieme per le vacanze. Arrivati lì, Jury e io siamo di nuovo spariti: in giro fino alle quattro del mattino, non dormivamo niente. Quella penso sia stata una delle volte in cui sono andato più vicino al divorzio da mia moglie».

Ma è vero che per la Lega italiana per la lotta ai tumori si è spogliato e si è cosparso di cioccolato?
«Era una vendita del cioccolato per beneficenza. Niente di scandaloso: foto solo di busto. Di scatto imbarazzante ne ho solo uno, quello della pagaia…».

Ci ricordi la faccenda della pagaia.
«Era un servizio per una rivista famosa, nel 2000. Entro in studio e vedo le foto di Massimiliano (Rosolino, ndr) solo con la cuffia. Esclamo: ma no! La “mia” Guardia di Finanza non approverebbe mai. Hanno mostrato altre immagini di sportivi: se lo fanno loro perché non tu? Ok. Poi però la foto vestito della sola pagaia è finita in copertina ed è successo un putiferio: la Gdf non era felice e nemmeno mia moglie. Diciamo che da allora sono molto, molto attento…».

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