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Come sta finendo male la storia d’amore mai nata tra Milik e il Napoli

Quando arrivò, gli persero la valigia. Nonostante i gol, i tifosi non l’hanno mai amato, la scintilla non è mai scoppiata. E ora il finale a schifio

Come sta finendo male la storia d’amore mai nata tra Milik e il Napoli
Hermann / KontroLab

Appena sbarcato a Capodichino, a Milik persero il bagaglio. Altro che bomber con la valigia. Si fa una certa fatica, ora, a non abusare dello stesso tic, quel modo che hanno i giornali di trattare il mercato come luogo di perdizione, di rendere pruriginose le trattative più complicate. Con il senso di colpa annesso: Milik è colpevole di “procurata cessione”, signori della corte. Lui, non altri. Giacché una volta stabiliti i ruoli, è facile poi gestire la trafila degli eventi secondo copione.

In questo lunghissimo preliminare che è diventata l’attesa di Barcellona-Napoli, la fine del polacco è una disastrosa nota stonata. Una storia di stima reciproca rotta malissimo, nel peggior momento della stagione. È il dramma di ritrovarsi in agosto a giocarsi la Champions con il mercato in pieno svolgimento ufficioso: a 3 giorni dalla sfida del Camp Nou, Milik finisce impaginato come terza scelta d’attacco, dietro Mertens e pure Llorente, infilato di sguincio nella lista Uefa. Milik non c’è più, è chiaro. Ma c’è ancora, ed è un problema.

Rischia di diventare una occasione sprecata mentre ancora la stiamo sprecando. Il che è perfettamente aderente alla sua carriera napoletana: un quadriennio di vorrei-ma-non-posso, di accenni, di indizi, senza mai una conferma vera. Milik se ne andrà come era arrivato: in silenzio, spaesato, con quell’aria austera che mal si addiceva al contesto.

Milik ha passato quattro anni tra infortuni, gol e fantasmi. Arrivato a tamponare l’emorragia emozionale della fuga di Higuain, è rimasto quel talento da 25 milioni dal vastissimo potenziale bellico che – a tratti – s’è visto pure al San Paolo. Non più tardi di un mese fa segnava un gol al Verona che a dispetto della percezione della curva – ormai trasferitasi sui divani di casa – ne faceva l’unico giocatore del Napoli in doppia cifra in campionato, con gli stessi gol di Mertens ma con un rapporto reti/minutaggio più efficace: un gol ogni 127 minuti. In totale, in quattro stagioni col Napoli ha segnato 48 gol in 121 presenze.

Mario Sconcerti, è virgolettato di un paio di settimane orsono, scrive:

“Non è un centravanti fisso, sa partire da dietro, starebbe benissimo con Ronaldo, Dybala o Lukaku. E ha idee per oltre venti gol. Chi lo acquista fa cinque punti in più. Tutto compreso credo sarebbe il miglior attaccante acquistabile sia in Italia che all’estero”.

Non che il Napoli non lo sappia. Il punto è che proprio perché lo sa benissimo, tenta la via del rinnovo. Trovando un muro. Lì si innesca il meccanismo delle ripicche, dell’immagine riflessa dai media che arriva poi sfocata ai tifosi. Se non prolunga il contratto, l’anno prossimo va via gratis e nessun presidente accetta la parola fatale – GRATIS – con serenità. Per cui De Laurentiis sbotta:

“Se tu a un certo punto vuoi fare il furbo, o hai dei cattivi consiglieri nei tuoi agenti, noi ci comporteremo di conseguenza”.

È bastata qualche prestazione abulica nel finale mediocre di campionato per mettere tutti i punti a posto, anche quelli che un posto non ce l’avevano ancora. Quando una storia prende questa china, c’è poco da riabilitare. E in fondo sono davvero in pochi quelli che si straccerebbero le vesti per lui. Perché Milik è ancora fermo con quell’aria stralunata a Capodichino, mentre scende da un aereo con la sciarpa azzurra al collo e chissà i suoi trolley che via hanno preso. Non è Mertens. Non è mai diventato Higuain.

A Napoli hanno visto un signor attaccante, di 26 anni, inventare gol lunari con quel sinistro fulminante. Ma non hanno rimodellato su di lui il preconcetto di centravanti atipico, lui sì vero falso-nove, altro che Mertens. Anche in nazionale s’è sempre sobbarcato il peso pestifero del coprotagonista, al fianco di Lewandowski.

Non si sopravvive, da queste parti, con la nomea di lavoratore serio e poco appariscente. Non dopo aver sfilato un intero rosario di bomber passionali al limite del patologico. Se doveva rompere una tradizione, beh, non c’è riuscito. Il Napoli non è mai diventato realista, non con lui e nemmeno con Ancelotti. I tifosi, anzi, gli intestano ancora due reati capitali: il gol fallito a Milano nell’anno dei 91 punti, e quell’altro a Liverpool che costò il passaggio del turno in Champions. E – ancora peggio – hanno già cominciato ad addebitargli la prossima destinazione maledetta: lui vuole la Juve, proprio come quell’altro prima di lui.

È la perfetta chiusura a schifìo. Per circostanze, destino, timing. Sabato il Napoli va a Barcellona con Mertens, Llorente e un cartonato di nome Milik. Non è ancora andato via, ed è già un peccato.

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