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Houellebecq: che virus banale. Non ha cambiato il mondo, sarà solo un po’ peggio

La riflessione dello scrittore su Repubblica. L’Occidente non è più da tempo la zona più ricca e sviluppata del mondo. Da diversi anni le evoluzioni tecnologiche hanno avuto come conseguenza la diminuzione dei contatti umani

Houellebecq: che virus banale. Non ha cambiato il mondo, sarà solo un po’ peggio

Repubblica pubblica una riflessione di Michel Houellebecq sulla pandemia di Covid-19. L’autore delle “Particelle elementari” definisce l’epidemia “al tempo stesso angosciante e noiosa” e il coronavirus un

“un virus banale, imparentato in modo poco prestigioso a misconosciuti virus influenzali, dalle condizioni di sopravvivenza scarsamente note, dalle caratteristiche vaghe, a volte benigno a volte mortale, neppure sessualmente trasmissibile: insomma, un virus senza qualità”.

Secondo Houellebecq la pandemia non cambierà il mondo.

“Prima di tutto, non credo neanche per mezzo secondo alle dichiarazioni del genere «Nulla sarà più come prima». Al contrario, tutto resterà esattamente uguale. Si può addirittura dire che il decorso di questa epidemia è straordinariamente normale. L’Occidente non è per l’eternità, per diritto divino, la zona più ricca e sviluppata del mondo: tutto questo è finito, e già da un bel po’, non è certo uno scoop. Se poi si va a guardare nel dettaglio, la Francia ne esce un po’ meglio di Spagna e Italia, ma meno bene della Germania; e anche in questo caso, non si può dire che sia una grossa sorpresa”.

Il coronavirus, continua, non farà che “accelerare certe mutazioni in corso”.

“Da diversi anni l’insieme delle evoluzioni tecnologiche, sia quelle minori (il video on demand, i pagamenti contactless) che quelle più importanti (il telelavoro, gli acquisti via internet, i social network) hanno avuto come principale conseguenza (come principale obiettivo?) di diminuire i contatti materiali, e soprattutto umani. L’epidemia di coronavirus offre una meravigliosa ragion d’essere a questa tendenza pesante: una certa obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane“.

Non abbiamo neppure “riscoperto il tragico, la morte, la finitezza e così via”, scrive. Da più di un secolo la tendenza “è di dissimulare la morte più che si può”. E nelle ultime settimane la morte è stata discreta come non lo era mai stata.

“Le persone muoiono sole nelle loro stanze d’ospedale o nelle case di riposo, vengono subito seppellite (o cremate? La cremazione è più nello spirito dei tempi) senza invitare nessuno, in segreto. Morte senza che vi sia la minima testimonianza, le vittime si riducono a un’unità nella statistica dei decessi quotidiani e l’angoscia che si diffonde nella popolazione via via che il totale aumenta ha qualcosa di stranamente astratto”.

Come pure ha assunto grande importanza il dibattito sull’età dei malati.

“Fino a quando è conveniente rianimarli e curarli? Settanta, settantacinque, ottant’anni? Dipende, apparentemente, dalla regione del mondo in cui si vive: ma in ogni caso, non era mai stato dichiarato con tanta tranquilla spudoratezza che la vita di tutti non ha lo stesso valore, che a partire da una certa età (settanta, settantacinque, ottant’anni?) è un po’ come se si fosse già morti. Tutte queste tendenze, come ho detto, esistevano già prima del coronavirus: si sono semplicemente manifestate in modo più evidente. Non ci risveglieremo, dopo il confinamento, in un mondo nuovo: sarà lo stesso, un po’ peggio“.

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