Per i grandi manager vige il principio di responsabilità. Come ha detto Ancelotti, ci si è fidati del dottor De Nicola. Nessun processo, ma si faccia chiarezza. L’errore poteva costare molto caro
La catena delle responsabilità
Le 24 ore di osservazione non sono ancora terminate, ma c’è un cauto ottimismo per le condizioni di David Ospina il portiere colombiano del Napoli che ieri si è accasciato verso la fine del primo tempo di Napoli-Udinese. Ospina ha giocato quasi un tempo intero con un trauma cranico dopo un colpo involontario subito da Pussetto in avvio di match. Ha giocato con un’ampia ed evidente fasciatura alla testa. A uno sguardo non clinico, non sembrava in condizioni di riprendere il gioco, di rimettersi in piedi. È stato evidente sui due gol subiti, ma non solo.
Il punto, però, è che qui in ballo c’erano – usiamo l’imperfetto viste le buone notizie che arrivano – non solo i destini sportivi del Napoli ma anche quelli personali del giocatore.
È stata una leggerezza molto grave aver lasciato il colombiano in campo, come ha ricordato anche Caressa ieri sera a Sky. Capiamo come funziona in questi casi. Carlo Ancelotti è un grande allenatore ed è un grande manager. Per i manager il principio della responsabilità è sacro. L’accentramento dei poteri e delle decisioni non è roba da grande azienda né da grande manager. C’è un responsabile del settore medico – in questo caso il dottor Alfonso De Nicola – e Ancelotti si è fidato di lui. Lo ha detto chiaro e tondo in conferenza stampa.
Il caso Cech
Resta un tema grande quanto una casa: De Nicola si è reso responsabile di un errore grave. A Canale 21 ha detto che Ospina non ha mai perso conoscenza e che voleva continuare a giocare. E che lo svenimento, o comunque l’accasciamento, è stato dovuto a perdita di sangue o a un fattore emotivo. Fatto sta che al San Paolo – dove peraltro non sarebbe dovuto approdare vista l’assenza del reparto di neurochirurgia – gli hanno riscontrato un trauma cranico.
Senza nulla togliere ai meriti di De Nicola, medico più volte elogiato per il suo lavoro, è stata una leggerezza grave. Che per fortuna non si è rivelata imperdonabile. Nel calcio tante cose sono cambiate. Sono trascorsi tredici anni dall’incidente – molto simile – che stava per costare la vita al portiere del Chelsea Petr Cech. Uno scontro di gioco a inizio partita – proprio come ieri – con un attaccante del Reading. L’attuale portiere dell’Arsenal fu sottoposto a un intervento chirurgico e rientrò in campo circa cento giorni dopo. Da allora, gioca sempre col casco. Così come fece Chivu. I più in là con gli anni ricorderanno l’uscita da karateka del portiere Martina su Giancarlo Antognoni e gli attimi di paura che seguirono. Allora eravamo nei primissimi anni Ottanta – 1981 -, oggi con questi episodi non si scherza più.
Dispiace scriverlo ma ieri il Napoli si è reso protagonista di una pagina infelice del calcio italiano e non solo. Sarà giusto accertare le responsabilità interne e fare chiarezza. Un manager deve poter fidarsi dei propri collaboratori. Il che non equivale obbligatoriamente alla fine di un rapporto. Anche perché gli errori, sia pure gravissimi, possono sempre essere commessi. Poi, ovviamente, non spetta a noi stabilirlo. Non abbiamo gli elementi per giudicare. Ma deve essere fatta chiarezza. Questo sì. Soprattutto perché, in caso di prossima volta, deve esserci piena e incondizionata fiducia tra staff tecnico e staff medico.