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Il tennis oltre i top 100 è un incubo: “giocatori soli che passano il tempo a capire se possono permettersi di perdere la prossima partita”

The Athletic ha recensito il libro di Conor Niland “The Racket”: “I big sono circondati da parassiti, gli altri non si rivolgono la parola negli spogliatoi. E’ un ambiente brutale”

Il tennis oltre i top 100 è un incubo: “giocatori soli che passano il tempo a capire se possono permettersi di perdere la prossima partita”
Spain's Carlos Alcaraz celebrates after winning his men's singles final match against Germany's Alexander Zverev on Court Philippe-Chatrier on day fifteen of the French Open tennis tournament at the Roland Garros Complex in Paris on June 9, 2024. (Photo by ALAIN JOCARD / AFP)

Charlie Eccleshare ha recensito su The Athletic il libro pluripremiato di Conor Niland “The Racket”, che racconta benissimo la realtà dei tennisti fuori dall’élite. Una specie di Vietnam ai più sconosciuto. Niland è il capitano irlandese di Coppa Davis, ma il suo impiego principale è presso una società immobiliare. E’ stato all’apice della carriera numero 129 del mondo e non è mai andato oltre il primo turno in un major. Dice che questo libro è il contraltare di Open di Agassi.

Dice che il tennis è uno sport incompreso: circa 100 uomini e donne possono guadagnarsi da vivere dignitosamente ogni anno mentre migliaia di altri giocano per una piccola ricompensa. Insomma fanno la fame. E’ “una gerarchia brutale”.

“Niland – scrive The Athletic – dipinge un vivido quadro. I pari di Niland bramano sostegno e successo, mentre gente come Agassi e Sampras occupa un altro universo; ricorda Agassi circondato a un torneo da così tanti parassiti che accetta un bicchiere d’acqua che in realtà non vuole, solo per dare loro qualcosa da fare”.

“Ciò che Niland cattura è anche che i giocatori, persino grandi come Sampras e Agassi, non respirano quell’aria rarefatta fin dall’inizio; e usa l’attuale numero 10 del mondo Grigor Dimitrov come esempio di come si muove la gerarchia del tennis. Ricorda di aver avuto buoni rapporti con Dimitrov quando il bulgaro era un adolescente dagli occhi sgranati che dichiarava orgogliosamente che “Maria Sharapova mi ama, amico“. “Poi quando è arrivato tra i primi 20, mi ignorava completamente”.

Ma poi, è un brutto ambiente. “Gli spogliatoi dei tornei minori sono pieni di sconosciuti con brutti tatuaggi”, scrive Niland. “Tutti sono abbastanza educati da non chiamarsi a vicenda stronzi, ma l’egoismo viene premiato. Tutti sono in competizione tra loro e alla ricerca di una debolezza in tutti gli altri”.

I giocatori di basso livello che riescono a partecipare a tornei più grandi vengono messi sui campi secondari, raramente sanno quando sono programmate le loro partite. Una sconfitta precoce può significare il panico, il cambiare volo. E una serie inaspettata di vittorie può significare la corsa per trovare una nuova stanza d’albergo. I Challenger o i Futures si giocano in piccoli posti con strutture modeste e pochi spettatori.

Niland racconta che una volta Federer ha convocato Dan Evans a Dubai per alcune settimane di allenamenti fuori stagione, insistendo affinché ogni sessione di allenamento si svolgesse alle 19 ora locale, solo perché sapeva che avrebbe giocato la prima partita del suo prossimo torneo alle 19, tre settimane prima che il torneo iniziasse.

I giocatori di livello inferiore hanno sottolineato ultimamente che solo i giocatori d’élite come Sinner e Swiatek possono permettersi la rapida consulenza legale e medica e i test richiesti per presentare ricorso contro le loro sospensioni provvisorie per il doping. I giocatori hanno solo una finestra di 10 giorni.

“Il tennis – dice – ha la brutta abitudine di pensare che i giocatori migliori nello sport siano lo sport e che siano più grandi dello sport“.

Non potendo permettersi staff e team dei migliori giocatori, Niland descrive la solitudine e l’isolamento “schiaccianti” di essere un tennista di livello inferiore: “Non ho praticamente stretto amicizie durature nel tour nei miei sette anni, nonostante abbia incontrato centinaia di giocatori della mia età che vivevano la mia stessa vita”. scrive. “I giocatori passano il tempo a capire se possono permettersi di perdere una partita o meno”.

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