Un addio importante dovuto a divergenze sulla governance. I giudici contabili indagano sul danno alla collettività
Il cda di Autostrade perde un componente. Ieri Monica Mondardini, amministratore delegato di Cir, holding di investimento quotata dalla famiglia De Benedetti, ha deciso di lasciare l’incarico nel board della holding infrastrutturale che fa riferimento alla Edizione dei Benetton. A dare la notizia è Milano Finanza.
Un addio pesante
Il nome della Mondardini era stato fatto a metà novembre come possibile ad al posto di Castellucci. Molto vicina alla famiglia De Benedetti, fino al 2018 la Mondardini è stata ad del gruppo Repubblica, poi travolta dal caso Cerno.
Secondo le indiscrezioni di Milano Finanza, la causa dell’abbandono “sarebbero divergenze sulle tematiche relative alla governance interna del gruppo”.
La versione ufficiale, affidata al comunicato diramato da Atlantia, fa invece esplicito riferimento al fatto che “non sono più sussistenti i presupposti per continuare ad assicurare un contributivo collaborativo”.
Il precedente della Tyler-Cagni
A metà novembre si era già dimessa dal cda Lynda Tyler-Cagni, consigliere che ricopriva anche l’incarico di presidente del comitato risorse umane e remunerazione e componente del comitato per le operazioni con parti correlate.
Del caso abbiamo già parlato all’epoca, come della motivazione etica dell’abbandono. Occorreva attribuire a circa 60 dirigenti, tra cui il presidente di Autostrade Fabio Cerchiai e l’ad Giovanni Castellucci, circa 90mila azioni di Atlantia per un valore complessivo di 1,6 milioni di euro (20mila euro lordi all’incirca per ciascun manager) e la Tyler-Cagni aveva chiesto che i manager rinunciassero volontariamente alla distribuzione. Dal momento che i benefit erano maturati dopo il crollo del Ponte, la consigliera giudicava non opportuna la distribuzione.
La risposta di Atlantia fu che l’attribuzione dei benefit “è un diritto acquisito e quindi intangibile”. Così, lei se ne andò sbattendo la porta.
La stessa Tyler-Cagni rispose al Napolista sottolineando che all’epoca fu Atlantia a insistere affinché venissero messe nero su bianco le motivazioni delle sue dimissioni, senza neanche concordare la decisione con lei.
Luciano Benetton: “Abbiamo sbagliato a mantenere la festa”
Il Corriere della Sera intervista Luciano Benetton.
L’intervistatrice, Maria Luisa Agnese, gli chiede dov’era quel tragico 14 agosto: “Ero a Cortina – risponde Benetton – C’è stata molta speculazione sul fatto che noi eravamo tutti insieme per ricordare nostro fratello Carlo. Abbiamo deciso di mantenere la festa ed è stato un errore, perché c’era solo disagio e dolore. Non lo rifaremmo. Siamo stati condannati velocemente, adesso siamo ansiosi che si faccia chiarezza sulle dinamiche del crollo”.
L’indagine della Corte dei Conti
Anche la Corte dei Conti indaga sul crollo del ponte Morandi, già da due giorni dopo il crollo. Lo scrive il Secolo XIX aggiungendo che l’inchiesta è andata finora avanti a fari spenti.
I giudici contabili stanno ricostruendo l’ammontare del danno per la collettività: “non solo gli effetti diretti – le vittime e i costi della ricostruzione del nuovo ponte – ma anche quelli indiretti: la ricaduta sull’economia, il porto, gli aggravi dovuti all’assenza di collegamenti e i costi sostenuti per l’emergenza”.
Un calcolo milionario, a cui, in prospettiva, potrebbero anche aggiungersi i danni di immagine.
Non è ancora possibile quantificare il danno prodotto dal disastro in termini economici e contabili. Le prime stime furono fatte proprio da Autostrade per l’Italia pochi giorni dopo la tragedia.
“Durante una caldissima conferenza stampa – scrive Il Secolo – i massimi dirigenti sottolinearono come la società fosse pronta a mettere mano al portafoglio per sostenere Genova, con un investimento che fonti vicino alla società quantificavano fino al mezzo miliardo. Stime inevitabilmente provvisorie, che comprendevano i costi della ricostruzione del ponte (nell’ipotesi che l’incarico fosse affidato ad Autostrade), risarcimenti alle famiglie delle vittime e per gli sfollati”.
Da allora sono cambiate molte cose. Autostrade è stata esclusa dalla ricostruzione, ha fatto ricorso al Tar della Liguria contro il decreto del governo, nell’inchiesta penale sono coinvolti i massimi dirigenti e tecnici Aspi e la società, nel frattempo, ha stanziato circa 50 milioni per risarcire i parenti dei morti, a condizione che non si costituiscano come parti civili nel processo.
La collaborazione con la Procura
Fin dai primi giorni – scrive sempre il quotidiano genovese – è stato attivato un protocollo di collaborazione tra il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi e il procuratore della Corte dei Conti della Liguria Claudio Mori.
I magistrati si scambiano informazioni sulle rispettive attività, in modo che le indagini non si intralcino, o che inquirenti diversi facciano le stesse cose. Il fascicolo contabile è stato assegnato a un pool di due pubblici ministeri fra i più esperti dell’ufficio.
Il punto di partenza dell’istruttoria è il danno pesantissimo denunciato da operatori e associazioni di categoria.
Confcommercio calcola in 600mila euro giornalieri gli aggravi sui trasporti, mentre i negozi intorno al ponte hanno denunciato un calo degli affari del 50-60%. L’Acquario di Genova ha dichiarato un calo del 50% dei visitatori nelle due settimane successive al crollo e del 25% rispetto al 2017. Quanto al porto, le tasse incassate sono calate del 24%, le chiamate dei camalli sono diminuite del 16%, e da un agosto all’altro il traffico del container è sceso del 16%.
La difesa di Autostrade
La strategia difensiva consigliata dai legali di Autostrade ha puntato a risarcire anticipatamente ciò che si poteva. Una scelta che, comunque vada a finire l’inchiesta, mette Aspi nelle condizioni di essere, ad oggi, l’unico soggetto coinvolto che al momento ha risarcitole vittime: un comportamento che può avere riflessi sia su un eventuale giudizio, sia per evitare misure interdittive sulla società, ma anche di un’indagine contabile.
Le maxi penali
Stamattina sarà calata un’altra sezione del ponte, quella tra le pile 6 e 7.
Intanto Il Secolo XIX torna a parlare delle penali per i ritardi nella demolizione e nella ricostruzione. non andrebbero oltre il 5% dell’appalto.
Un tetto inferiore a quanto consentito per legge: 10 milioni per chi costruisce, 950 mila euro per chi demolisce.
Si tratta di penali “importanti ma non certo record”, come invece era stato sottolineato più volte al momento della firma del contratto.
I demolitori hanno 190 giorni per concludere i lavori, a partire dal 18 gennaio del 2019. “La spada di Damocle delle penali è doppia”, spiega Il Secolo.
Una è prevista per il rispetto di singole fasi, la più importante delle quali scade il 31 marzo, giorno entro il quale gli specialisti si sono impegnati a consegnare sufficienti aree ai costruttori. In questo caso. Il mancato rispetto delle singole fasi da parte dei demolitori è punito con500 euro al giorno,fino a un massimo di 38 mila euro.
Il ritardo sulla consegna complessiva, invece, costerebbe 19 mila euro al giorno. Il tetto è il 5% dell’importo complessivo dei lavori, che è pari a 19 milioni (cioè circa 950mila euro).
Lo stesso modello è previsto per i costruttori, che hanno 328 giorni per portare a termine il nuovo ponte a partire dal 31 marzo 2019.
La penale su singoli passaggi è 5 mila euro al giorno, fino a un massimo di 400mila. Il ritardo sulla consegna, prevista entro metà di aprile 2020, è lo 0,1% dell’importo dei lavori al giorno: 202 mila euro fino a un massimo di 10 milioni. In pratica, il 5% dell’importo dei lavori, che costano 202 milioni. “Asticelle in tutti i casi lontane dai massimi teorici previsti dalle leggi di settore (in particolare il Dpr 554 del ‘99)”, scrive il quotidiano genovese.