Come le grandi squadre del passato di Carletto: il Napoli vuole vincerle tutte per vincere tutto, ma vuole-può farlo anche senza andare a mille.
Il ricordo del Milan
Un calcio a due velocità, una di crociera e una più sostenuta. La prima per affrontare avversari più abbordabili, la seconda per le grandi partite. Probabilmente, Carlo Ancelotti sta costruendo un Napoli che sappia riprodurre questa sorta di divisione gerarchica, per cui tutte le sfide sono indispensabili, ma ci sono diversi tipi di approcci al gioco. È un’idea che appartiene alle grandi squadre, ai tecnici non ideologizzati: se il Manchester City di Guardiola, esattamente come il suo Barcellona, non conoscevano alternative all’imposizione di un certo tipo di gioco, il Real di Ancelotti, la Juventus di Allegri, l’Inter di Mourinho, il Milan ancora di Carletto, avevano gioco e giocatori diversi per avversari diversi.
Basta riavvolgere il nastro del passato, lo stesso Milan di Ancelotti. Nell’anno della vittoria in Champions League (2002/2003), i rossoneri pareggiano in casa dell’Empoli, a San Siro contro il Brescia, perdono a Perugia, pareggiano a San Siro con il Chievo e a Reggio Calabria. Allo stesso tempo, in Europa battono Bayern Monaco, Real Madrid, Inter, Juventus. L’anno dopo, con il Milan campione d’Italia, Ancelotti non perde neanche uno scontro diretto eppure cade a San Siro contro l’Udinese, pareggia in casa contro il Chievo, a Modena, a Lecce.
Le grandi squadre vincono (anche) così
L’incazzatura di Ancelotti dopo Napoli-Empoli nasce dal fatto che gli ospiti hanno giocato meglio. Ma non perché hanno tenuto più palla, quello era nel piano partita iniziale. L’idea di Ancelotti, per gare come questa, è quella di portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo. Fisico, tecnico, tattico, mentale. Il tecnico non avrebbe dovuto/voluto inserire Callejon e Allan a quattro giorni dalla sfida al Psg. La partita era 2-0 e doveva essere controllata, soprattutto dal punto di vista emotivo.
Il controllo del gioco appartiene a squadre come il Napoli, deve appartenergli. Ma può esprimersi anche al di là del possesso, o di un calcio sempre brillante. Molto spesso, anche giustamente, il triennio di Sarri era accompagnato da critiche forti nei confronti di alcune prestazioni della Juventus, a dir poco non scintillanti. Eppure, la regolarità dei bianconeri è stata incredibile, i punti persi negli ultimi anni in match abbordabili sono stati davvero pochissimi.
La differenza col passato
È l’idea di calcio cui vuole tendere Ancelotti con il suo Napoli. Il turn over a due livelli dell’allenatore emiliano (spiegato pochi minuti fa in questo pezzo di Massimiliano Gallo) punta a costruire una squadra in grado di vincere tutte le partite, anche quelle giocate senza esagerare con le energie investite nel gioco, nella concentrazione. In questo senso, il successo – pure rotondo – contro l’Empoli, attraverso una prestazione non brillante, è una vera e propria breaking news.
È la differenza con le puntate precedenti: il Napoli di Mazzarri risolveva quasi tutte le sue partite giocando un calcio semplice ma di gran cuore, quello di Benitez accusava dei gravi passaggi a vuoto quando la qualità dei giocatori non si esprimeva o si combinava al massimo; il ricordo del Napoli di Sarri è fresco, nell’ultima stagione i 91 punti sono frutto di una sicurezza e di una consapevolezza tale rispetto al sistema del tecnico che aveva portato la squadra a saper vincere anche le famose partite sporche. Non fino al titolo, ma davvero a un passo. Però nell’ultimo segmento di campionato non riusciva più a marciare con la stessa velocità, perché certi giocatori avevano perso smalto.
Ecco, Ancelotti ha creato un circuito di allenamento e gestione della rosa perché questa consapevolezza potesse arrivare prima. E attraverso un percorso diverso, in cui sono coinvolti tutti, fin dall’inizio. In effetti questa percezione sta arrivando, è arrivata prima, finora l’unica partita davvero sbagliata del Napoli è quella di Genova contro la Sampdoria. Dopo la svolta tattica del 4-4-2, il Napoli ha perso a Torino contro la Juventus e ha pareggiato in casa contro la Roma, a Belgrado e Parigi. Per il resto, vittorie – quasi sempre convincenti – contro Fiorentina, Parma, Sassuolo, Torino, Udinese, Empoli e soprattutto Liverpool. Tutte le sfide “abbordabili”, almeno sulla carta, sono finite con un successo. Con turn over profondo annesso.
Verso la Champions
L’ambizione di Ancelotti («Essere competitivi in tutte le manifestazioni») non è utopica. Anzi, è pienamente verificata in questo suo atteggiamento rispetto alle partite. Se il match contro la Roma è stato approcciato in maniera diversa rispetto a quello contro l’Empoli, con il Psg subito prima o subito dopo, è perché da qui a primavera il Napoli punta a essere in corsa in campionato e in Europa. Quella condizione per cui non puoi perdere neanche un punto, ma comunque devi preparare la sfida internazionale.
Poi magari sarà Europa League, oppure agli ottavi di Champions il Bayern cancellerà il Napoli. Però c’è l’idea di fondo che questa squadra non possa giocare a mille tutte le partite. Perché alcune “costano” di più, e allora serve vincerle – quello serve sempre – anche senza attivare il drs delle Formula Uno, che ti permette di andare più veloce in certi punti della corsa. È la definizione moderna e aggiornata del cicler di Ancelotti, nominato da Carlo in tempi non sospetti. Probabilmente, intendeva proprio questo.