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Per battere l’Italia, la Germania è stata meno Germania

Cominciamo dall’inizio, ovvero dalla scelta di Loew di schierarsi in maniera speculare rispetto all’Italia. Non è una cosa profondamente vera, perché si è verificata in un modo molto particolare: il ct tedesco, infatti, più che cercare di limitare gli azzurri, ha voluto in qualche modo sfruttarne a proprio vantaggio le loro caratteristiche: uno contro uno dei difensori centrali contro gli attaccanti di Conte (anche ieri sera Giaccherini è stato praticamente sulla stessa linea di Pellé ed Eder), esterni italiani tenuti bassi con l’utilizzo di due tornanti veri, pur se con caratteristiche diverse (Kimmich a destra e Hector a sinistra) e densità centrale dal centrocampo in su per evitare il gioco d’anticipo dei migliori elementi a disposizione di Conte, i tre difensori.

Come si vede benissimo dal campetto posizionale appena qui sopra (a sinistra la Germania, a destra l’Italia), lo schieramento speculare era solo nelle immagini del prepartita: la Germania ha predisposto linea difensiva e baricentro molto più in alto, in modo da poter tenere il pallone ai piedi (62% di possesso a fine partita) e per questo lontano dalla propria area di rigore, ha coperto con un uomo in più il lato più utilizzato e “affollato” dagli azzurri per sviluppare gioco (quello sinistro, che la squadra di Conte ha sfruttato per far partire il 42% delle azioni offensive) e ha sfruttato Mario Gomez più come “cavatappi” che come centravanti, con l’idea di portare fuori almeno un centrale italiano e di dialogare poi al limite dell’area con le mezzali e con l’inserimento degli esterni. Il gol tedesco nasce così: 

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Palla verso Gomez tutto spostato sulla sinistra, Barzagli esce dalla sua posizione per accompagnare Florenzi e quindi tutto il reparto difensivo scala sul lato destro. L’inserimento interno di Hector non viene letto dai due mediani azzurri di centrodestra, Sturaro e Parolo, e quindi Bonucci è costretto a provare la chiusura disperata. La palla passa comunque, anche perché una deviazione scavalca Chiellini ben posizionato. Altro inserimento interno di Ozil, De Sciglio non chiude in tempo la diagonale e tocco facile in porta per il fantasista dell’Arsenal. Non c’è da buttare la croce addosso a nessuno, anche perché gli inserimenti interni sono quelli più difficili da leggere, specie quando difendi in maniera reattiva e quindi sposti un numero maggiore di calciatori nella zona-palla. Chi segue e tifa il Napoli sa benissimo di cosa stiamo parlando.

È uno dei pochi momenti della partita in cui la Germania è riuscita a bypassare realmente la struttura difensiva italiana, resterà uno degli ultimi: l’uscita (troppo anticipata, ma forse causata anche da problemi fisici) di Mario Gomez ha letteralmente cancellato la Germania vista nella prima parte della ripresa, almeno fino al gol e subito dopo. L’ex attaccante della Fiorentina, oggi al Besiktas, ha giocato pochissimo nell’area avversaria, ha concluso verso la porta di Buffon in una sola occasione e ha concentrato il lavoro di un’intera partita più sulla sinistra che sulla destra della zona d’attacco tedesca, comunque e in ogni caso abbondantemente lontano dallo spazio solitamente occupato dal centravanti. Sotto, due campetti indicativi in questo senso: il primo è la distribuzione spazio-percentuale della sua partita, il secondo sono le palle giocate. Una sola in area, più la conclusione di mezzo tacco parata incredibilmente da Buffon dopo il gol di Ozil. Due palloni in tutto toccati nell’area azzurra.

Il resto della partita nasce dai diversi principi adottati dalle due squadre in campo: una Germania proattiva si è scontrata con il muro azzurro dei 3+5, con Giaccherini bravissimo a interpretare la doppia fase come esterno di sinistra nel tridente d’attacco e come interno di sostanza accanto a Parolo. Per questo motivo, il possesso della Germania è stato soprattutto orizzontale, con costruzione bassa atta a muovere la difesa avversaria. Per questo, inevitabilmente, i calciatori con più palle toccate finiscono per essere il regista arretrato (Kroos, 108) e i due difensori centrali (Hummels e Boateng, 104 e 99). Da notare anche qui come la linea a 3 impostata da Loew sia stata interpretata più come una linea a quattro, con Howedes quarto di destra in scivolamento ed Hector utilizzato come terzino sinistro. La differenza tra le palle giocate da Hummels e Howedes (86) è ampia e non si spiega solo con le differenti caratteristiche tecniche. La verità è che la Germania è stata bravissima ad adattarsi all’Italia, a capire e trovare il momento giusto di colpire scoprendosi in pochissime occasioni, e tutte su azioni di contropiede.

Sì, perché l’Italia ha fatto il massimo e ci ha messo sicuramente cuore. Da qui all’aver giocato “bene”, però, ce ne passa. Soprattutto se per “bene” intendiamo un canone estetico, che però non abita in questa partita parlando in senso assoluto: anche lo stesso possesso orizzontale della Germania rispetto al gioco diretto e verticale della squadra di Conte (865 passaggi a 540 in favore dei tedeschi) non è che abbia incantato più di tanto. La partita è stata “bella” a livello emozionale, non propriamente di gioco. E lo leggi nel numero comunque esiguo di concluioni verso la porta sui 120 minuti, 12 per parte, comprensivi anche di quelli ribattuti dai difensori. Tra gli italiani, da sottolineare la partita di sostanza di Marco Parolo, bravissimo in fase difensiva (11 eventi tra palle intercettate, bloccate e spazzate) ma meno lucido nella fase di impostazione (solo il 75% di passaggi riusciti); bene anche Bonucci, meno determinante con i suoi palloni lunghi a scavalcare il centrocampo (merito o colpa del baricentro altissimo della Germania, una scelta ponderata in modo da tenere basse le punte azzurre ed evitare altri casi Belgio-Giaccherini) ma sempre e comunque positivo nella prima impostazione (84% di pass accuracy).

Meno positiva, questa volta, la prova dei due attaccanti azzurri. Certo, il merito va anche a una difesa registrata e organizzata, viene da dire l’esatto opposto di quella di Belgio e Spagna. Però, forse, due tiri in due su 108′ (Eder) e 120′ (Pellé) di gioco sono effettivamente pochini. Soprattutto in rapporto a Insigne, unico uomo offensivo inserito da Conte (a parte il platonico ingresso di Zaza, entrato per tirare – e sbagliare – il calcio di rigore nella lotteria finale) e comunque in grado di provare il tiro due volte in 12 minuti di gioco. Per carità, la prima conclusione è stata un errore. Ma comunque è stato un tentativo. Metterlo in campo dal primo minuto contro tre fenomeni fisici come Boateng, Hummels e Howedes sarebbe stato azzardato e probabilmente sbagliato, ma inserirlo all’inizio dei supplementari, ad avversari stanchi, avrebbe potuto avere un senso diverso. Magari al posto di uno spento Pellé e accanto al comunque propositivo Eder, poco presente in fase conclusiva ma comunque leader azzurro per numero di key passes (3) e bravissimo nel lavoro di cucitura a tutto campo. Sotto, la heatmap dell’italibrasiliano dell’Inter.

Le conclusioni sono agrodolci: l’Italia ha dimostrato una volta di più come l’organizzazione tattica può sopperire a una reale differenza di valori tra due squadre in campo, soprattutto in relazione alla partita secca. Quando però gli avversari sono ben messi in campo, oltreché bravissimi (come ieri sera), la partita avrà una sua direzione e sarà decisa da un episodio, solitamente a favore del più forte e del più fortunato. 

Chi scrive, durante la partita di ieri commentava con un suo amico quanto questo Germania-Italia sia stato simile, come principio assoluto, a Juventus-Napoli dello scorso febbraio. Uno 0-0 scritto rotto solo da un colpo estemporaneo, frutto di contingenze favorevoli e piccoli errori da parte di chi, poi, si è ritrovato a fine match con la testa fra le mani e una sconfitta che sembra immeritata. Ieri sera Ozil sembrava poter aver scelto di indossare i panni di Zaza, poi Boateng ha fatto il Koulibaly della situazione (e di Torino) e ha rimesso tutto in pari con un peccato di ingenuità. La certezza, però, è che anche ieri ha vinto la squadra più forte. Ma c’è pure una certezza sull’altra contendente, che deve diventare consapevolezza: l’Italia non avrebbe meritato di perdere, ma forse ha fatto troppo poco per vincere. Come il Napoli a Torino, escono entrambe a testa altissima, ma pure con qualche piccolo rimpianto. Però, contro il miglior avversario che c’era sulle loro strade. 

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