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Il futuro economico del calcio sono i tifosi “occasionali”, la smettiamo di offenderli? (Guardian)

“Basta gerarchie di devozione, per il super-club moderno la stragrande maggioranza dei suoi tifosi ora vive da qualche altra parte”

Il futuro economico del calcio sono i tifosi “occasionali”, la smettiamo di offenderli? (Guardian)
Cm Torino 07/01/2024 - campionato di calcio serie A / Torino-Napoli / foto Cristiano Mazzi/Image Sport nella foto: tifosi Napoli

I tifosi “occasionali” sono “la specie più aborrita del calcio”, scrive il Guardian. Il calcio inglese ha un sacco di modi per definirli: plastics, casuals, fakes, frauds, tourists, day-trippers, trolls, haters, fair-weather fans,glory-hunters. Occasionali li riassume tutti. Jonathan Liew, la migliore penna sportiva del quotidiano inglese gli dedica un pezzo allargando filosoficamente il discorso al tifo in generale e sulle divisioni culturali. Un problema che si pone, vista l’internazionalizzazione della Premier League.

“Per gran parte dell’era della Premier League, il tifoso straniero è stato considerato l’ultimo arrivato dell’ecosistema: esiliato dalla distanza, alienato dalla cultura e dalla storia.  E ovviamente qui c’era una chiara gerarchia di devozione, basata sulla vicinanza geografica e sulla presenza fisica alle partite. Ma la globalizzazione dei club più grandi, unita alla crescente influenza dei social media, ha stravolto le misure tradizionali. Per il super-club moderno, la stragrande maggioranza dei suoi tifosi ora vive da qualche altra parte, collegata solo da una connessione Internet, ed è improbabile che visiti lo stadio più di poche volte. Con il mercato interno maturo e saturo, è anche da qui che arriveranno nuovi fan. Cosa succede a un’istituzione comunitaria quando il mercato la trascina lontano dalla comunità?”.

“In termini commerciali, ciò spiega le grandi e redditizie amichevoli estere, i pacchetti turistici, la rete di megastore. Nessuna delle quali è necessariamente una forza distruttiva di per sé. Basta guardare una grande partita di Premier League in un bar straniero, o osservare gli stormi di tifosi coreani al Tottenham, per i quali un viaggio per vedere Son Heung-min dal vivo è una sorta di sacro pellegrinaggio, per comprendere come i tifosi d’oltreoceano arricchiscono e approfondiscono il significato di una società di calcio”.

“Ovviamente – continua il Guardian – ci sono delle divisioni culturali da superare, attriti da negoziare”. “In realtà si stanno verificando due sviluppi simultanei. Il primo è il graduale riallineamento della gerarchia dei tifosi lungo le linee della propria capacità di pagare: uno sviluppo in atto da anni ma che ora raggiunge una sorta di punto critico tra l’aumento dei prezzi e il calo del tenore di vita”. Insomma l’attaccamento alla squadra bisogna anche poterselo permettere.

“L’altro è la graduale erosione della tifoseria dei grandi club come luogo di aggregazione e terreno comune. Ampliare una base di tifosi la indebolisce anche, indebolisce i legami che uniscono i tifosi tra loro, indebolisce la loro propensione a unirsi e a organizzarsi”.

“In un certo senso si tratta di questioni esistenziali più ampie, che colpiscono al cuore cosa è una squadra di calcio e a chi serve. Come concili l’idea che una società di calcio sia per tutti con l’idea che sia una cosa con radici, legata a un luogo e a una comunità? Come respingere le false contrapposizioni tra classe operaia locale e turista facoltoso, tra veri appassionati e occasionali?

“Una base di tifosi si divide su più piani. Ma quando ciò accade, le uniche persone che ne traggono realmente beneficio sono quelle che hanno interesse a sfruttarlo”.

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