ilNapolista

Giovanni Galli: «Dal dolore della perdita di un figlio non se ne esce»

L’intervista al Foglio: «devi decidere se rialzarti o continuare a camminare a quattro zampe. Maradona? Era dottor Jekyll e Mr. Hyde»

Giovanni Galli: «Dal dolore della perdita di un figlio non se ne esce»

Giovanni Galli intervistato dal Foglio sportivo, a firma Antonello Sette. Ne pubblichiamo un estratto.

Dopo il Milan arriva Diego Armando Maradona…

“L’ultimo anno al Milan non era stato semplice. Io ero il portiere delle coppe. In campionato giocava Andrea Pazzagli. L’alternanza, in cui mi ritrovai coinvolto, non mi garbava affatto. Avevo 32 anni ed ero nel pieno della maturazione tecnica e fisica. Il non poter giocare la domenica era per me un passo indietro inaccettabile. E, nel momento più giusto, arrivò la proposta del Napoli, che aveva appena vinto lo scudetto. Era la grande occasione per dimostrare a tutti che non ero solo un portiere bello di notte”.

Chi è stato per lei Maradona?

“Il grande campione lo hanno potuto ammirare tutti. Personalmente, mi ritengo fortunato ad avere avuto l’opportunità di costruire con Diego un legame di stima, di amicizia e di fratellanza, inaspettato e, proprio per questo, ancora più bello. Ho conosciuto un eterno ragazzo meraviglioso. Un ragazzo generoso, che era un po’ come il dottor Jekyll e Mr. Hyde. Era arrogante, persino presuntuoso e strafottente, ogni qual volta attaccavano i suoi affetti: la famiglia, il Napoli, i compagni di squadra e i tifosi. Diventava quasi insopportabile, ma all’interno dello spogliatoio, con il gruppo e con gli amici era un ragazzo eccezionale. Sono rimasto legato a Diego anche dopo il Napoli e la fine delle nostre carriere. Ha continuato a dimostrarmi nel tempo la sua amicizia e la sua vicinanza”.

Lei ha guardato in faccia il dolore, nella sua forma più atroce, qual è quella di perdere un figlio a diciotto anni. Come si esce da una tragedia tanto immane?

“Non se ne esce. È un percorso. Il percorso di uno che improvvisamente inciampa su un gradino e cade per terra. Sei in ginocchio, strisci sul pavimento e devi decidere se rialzarti o continuare a camminare a quattro zampe. Per provare a rimetterti in piedi, hai bisogno di aiuto. Quello più importante te lo può dare solo la famiglia. Noi siamo sempre stati uniti e legati strettamente, gli ultimi agli altri. Dovunque andassi, loro erano sempre con me. Ho conosciuto Anna, quando avevo 17 anni e lei 14. Non ho mai smesso, neppure per un istante, di amarla. Carolina e Camilla sono, e rimarranno, il mio orgoglio e la mia più grande consolazione. Oltre la famiglia, mi ha aiutato la fede. Il percorso che ho fatto insieme a Niccolò è stato intenso, ma troppo breve. Sono certo che riprenderà in un’altra dimensione, anche se non so dirle quale. Io devo rivedere mio padre e devo rivedere mio figlio”. 

ilnapolista © riproduzione riservata