ilNapolista

Pupi Avati: «Papa Francesco non mi piace tanto, doveva andare al confine ucraino il giorno dell’attacco»

Al Corsera: «Pasolini mi affidò sua madre. Quando chiamai Abatantuono per “Regalo di Natale” aveva lasciato il cinema, gestiva un night a Rimini»

Pupi Avati: «Papa Francesco non mi piace tanto, doveva andare al confine ucraino il giorno dell’attacco»
archivio Image / Spettacolo / Pupi Avati / foto Insidefoto/Image

Pupi Avati intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera.

Non le piace Papa Francesco?

Pupi Avati: «Posso essere sincero? Non tanto. Se il giorno dell’attacco di Putin fosse andato sul confine ucraino forse avrebbe fermato la guerra, come San Leone Magno con Attila».

Ma dai, cosa poteva fare il Papa?

«Se credi in Dio, devi credere nell’onnipotenza di cui lo Spirito Santo ti ha perfuso. I sacerdoti non parlano più della vita e della morte, del peccato e dell’oltretomba. Un tempo erano loro ad accompagnarti di là, ed erano i depositari dei segreti inconfessabili del morente. Quasi tutti avrebbero ancora bisogno di preti così: il proselitismo laico se lo possono permettere solo i ricchi».

È vero che lei fu invece tra gli sceneggiatori di «Salò o le 120 giornate di Sodoma», l’ultimo film di Pasolini?

«Sì, ma non gli piacque. Così andai a trovarlo a casa, in via Eufrate 9, all’Eur. Mi aprì, gli chiesi se fosse vero che la sceneggiatura non gli era piaciuta, e lui rispose impietoso: sì. Gli raccontai che anch’io, come suo padre, ero di Bologna. Mi fece entrare, fu carinissimo. Cominciammo a riscrivere il film, insieme con Citti, che doveva essere il regista. Noi discutevamo di violenze e coprofagia, e ogni tanto si affacciava Susanna, la mamma di Pierpaolo, per chiederci se le melanzane le volevamo fritte o con il pomodoro. Capii che “Salò” per lui sarebbe stato il film definitivo, con cui si affacciava sul baratro dell’orrore. E andava oltre. Salò era per Pasolini quello che fu il Requiem per Mozart».

Com’era come persona?

«Io conoscevo il Pasolini diurno: solare, allegro, leggero. Parlavamo di calcio, io milanista, lui del Bologna. Ma il Pasolini notturno non lo conoscevo. Mi invitò alla prima de “Il fiore delle mille e una notte” e mi fece sedere accanto alla madre. Susanna sussurrò “speriamo che sia bello”, poi mi prese la mano e me la tenne stretta per tutto il film, alla fine ci abbracciammo piangendo: “È stato bravo Pierpaolo?”, “sì, è stato bravo”. Questo affidarmi la madre, come la Madonna a San Giovanni, fu la cosa più bella che Pasolini potesse farmi».

È vero che per Regalo di Natale voleva Lino Banfi come protagonista?

«È vero. Lo portai a cena, divorò un vassoio di ostriche, e mi disse di no: voleva fare Il commissario Logatto con Dino Risi. Cominciai a sfogliare un album di foto, vidi Abatantuono, e pensai: è lui. Diego aveva lasciato il cinema, gestiva un night a Rimini, il Lady Godiva. Gli ho cambiato la vita. È bello dare felicità. Quando ho telefonato a Edwige Fenech a Lisbona per proporle un film si è messa a piangere per la gioia: erano sette anni che nessuno le proponeva un film».

ilnapolista © riproduzione riservata