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Cairo: «Da calciatore ero promettente, ma troppo emotivo»

A Radio Serie A: «Non scenderà in politica, la politica a me piace, vorrei fare molto per il Paese, ma ho già grosse aziende e tanti dipendenti da gestire. Sarebbe una bella cosa ma sarebbe molto complicato»

Cairo: «Da calciatore ero promettente, ma troppo emotivo»
Db Torino 15/08/2021 - Coppa Italia / Torino-Cremonese / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Urbano Cairo

il presidente del Torino Urbano Cairo si è raccontato al microfono di Alessandro Alciato nella trasmissione “Storie di Serie A” in onda su Radio Serie A.

Presidente Cairo, cos’è lo sport oggi?

«È un grande momento d’aggregazione, ti insegna i valori dello stare insieme e raggiungere un obiettivo comune. È un accrescimento personale perché con lo sport si possono superare i propri limiti. Nello sport gli amatori, così come i campioni hanno come obiettivo il migliorarsi volta dopo volta, per spingersi oltre e superarsi sempre»

Lei è un personaggio poliedrico: imprenditore, editore e presidente del Torino. Partendo dall’inizio però è stato anche calciatore della Pro Sesto…

«È stato un periodo molto bello. Era tra il 1972 e il 1974. Ero un’ala destra e giocavo negli allievi con Caputo che è poi arrivato in serie B. Ero abbastanza sgusciante. Un anno arrivò Ardesi, mi vide nella preparazione e mi chiamò per dirmi che avevo buone possibilità per fare bene. La cosa che mi ha più danneggiato da calciatore era il fatto che ero molto, troppo, emotivo. Forse anche perché avevo sempre in tribuna mio padre che mi seguiva (ex centravanti) e questo strafare per brillare ai suoi occhi mi faceva sbagliare. Vorrei tornare a quei tempi per fare meglio»

C’era il sogno di fare bene e sfondare da calciatore ai tempi della Pro Sesto?

«Si, c’era. Da ragazzino a 14 anni mi eccitava l’idea di diventare calciatore professionista»

Il primo sportivo che le ha fatto battere il cuore?

«Da bambino sono stato tifoso del Milan e del Toro. Il mio idolo era Gianni Rivera. Aveva una storia pazzesca, un esordio in serie A a 16 anni, il pallone d’oro a 26 anni nel ’69, insomma, un grande giocatore. A parte lui, io adoravo Claudio Sala del Toro e i due gemelli del gol: Pulici e Graziani. Seguivo anche Gigi Meroni, morto a 24 anni. Lui era un fenomeno, un personaggio incredibile»

Nell’imprenditoria, lei è un matto o un visionario?

«Da ragazzo ho sviluppato la voglia di fare imprenditoria. Ho avuto occasione di conoscere Berlusconi di ritorno dall’America dove avevo acquistato un libro sullo sviluppo della televisione americana. Berlusconi aveva dichiarato in un’intervista che sarebbe stato disposto ad ascoltare un giovane che avesse avuto qualche valida idea. Mi registro per contattarlo proponendogli le idee che avevo letto sul libro acquistato in America e avevo trasportato la cosa sull’Italia. Inizio a raccontare le mie idee ai suoi collaboratori per poi poter incontrare lui che, come prima cosa, mi disse che era un periodo difficile per fare imprenditoria in Italia. Gli piacque però questo mio modo di presentarmi a lui e di approcciarlo, e iniziai il giorno dopo come suo segretario. L’idea di fare imprenditoria venne accantonata per un po’, quando poi mi sono messo in proprio ho fondato la mia concessionaria. Non mi considero un visionario perché non ho inventato nulla di nuovo, ma sono stato coraggioso, perché mi sono lanciato a 38 anni con una certa riconoscibilità, acquisita nel corso degli anni con i diversi incarichi e ruoli che ho ricoperto. A fare imprenditoria sei sempre giudicato e sotto una lente d’ingrandimento, il challenge è continuo. Quando prendevo un’agente per farmi pubblicità, questo al suo ritorno riceveva offerte pari al doppio per non seguirmi. Dopo 20 giorni che ho iniziato avevo la prima pubblicazione a un mese, avevamo 15 giorni per riempire un giornale, dovevamo scatenarci. Abbiamo fatto grandissimi numeri. In nove mesi abbiamo fatturato 60 miliardi delle vecchie lire»

Tornando al momento in cui è stato assistente di Berlusconi, ci racconti un aneddoto indimenticabile su di lui.

«Ero agli inizi, al teatro Manzoni, dove Berlusconi si raccontava e parlava con i clienti oltre che presentare i programmi delle sue reti televisive. Era la mia prima volta al teatro Manzoni, mi presentai con una giacca appena acquistata, molto elegante e di un colore chiaro. Berlusconi mi guardò e mi disse “questa sera questa giacca no, non va bene”. Lui era con un completo blu, io capii di essermi vestito in modo sbagliato, allora corsi a casa a cambiarmi e dopo 40 minuti tornai. Berlusconi allora sorrise compiaciuto»

Spesso si dice “Urbano Cairo è il nuovo Silvio Berlusconi”. Vero o falso? Le fa piacere?

«Beh, è stato un personaggio di altissimo livello, ma io sono diverso da lui. Ho imparato molto da Silvio, però ognuno di noi ha una sua personalità. Ho applicato molte cose di quelle che mi ha insegnato, e molte cose le amavamo allo stesso modo: tv, calcio, giornali. In qualche modo ho percorso delle tappe che lui ha fatto prima. Questo però è casuale ed è legato al fatto che sono le stesse cose a divertirci. In una sono stato più bravo di lui: quando io scalai RCS e acquistai anche il Corriere della Sera, lui mi chiamò il giorno dopo e si complimentò dicendomi che ero riuscito a fare una cosa che avrebbe voluto fare anche lui, senza riuscirci»

Berlusconi nel calcio è stato il Milan e poi il Monza. Lei è il Torino. Come è nato questo amore e quando ha deciso di acquistare il Torino?

«Da sempre tifo Toro, mia mamma e mio papà erano tifosissimi e mi hanno trasferito questa passione. Come dicevo, all’inizio tifavo Torino e Milan allo stesso modo. Nel 2005 il Toro stava per fallire non iscrivendosi al campionato e mi chiamò il sindaco di Torino di allora dicendo: ‘Prenda il Toro che riusciamo a farlo ripartire dalla Serie B’. Risposi che non avevo mai fatto calcio e che l’inizio della stagione era alle porte, sarebbe stato impossibile. Però ci pensai su, incontrai persone che mi aiutarono dandomi idee diverse, decisi di andare a Torino per incontrare il sindaco con l’idea di rifiutare l’offerta. Arrivato lì però mi lasciai convincere. Mia mamma mi spingeva ad acquistarlo e quindi l’ho fatto»

C’è stato un momento in cui ha pensato “ma chi me l’ha fatto fare?”

«C’è stato più di un momento in cui l’ho pensato, ma nelle difficoltà non mollo, anzi, raddoppio gli sforzi. Siamo anche retrocessi un anno, nel 2009, ed è stato un periodo difficilissimo. Da allora abbiamo sempre mantenuto la categoria cercando di superarci. So che i tifosi si aspettano sempre di più, anche perché il Torino ha il Grande Torino alle spalle; una squadra che dava tanti giocatori alle nazionali. Però il calcio è anche molto cambiato, le squadre che competono con te hanno un fatturato 4-5 volte maggiore. Ci sono eccezioni da prendere d’esempio: una di queste è l’Atalanta. Abbiamo fatto buone campagne acquisti prendendo giocatori di livello e rifiutando ottime offerte per altri già in rosa»

Qual è la cifra più alta che ha rifiutato per trattenere un giocatore?

«Buongiorno quest’estate aveva un’offerta sui 25 milioni più bonus e non è stato venduto. Ho trattato perché anche il procuratore voleva capire. Ho incontrato Percassi dell’Atalanta, ho comunicato per trasparenza cosa ci offrivano, ma ho lasciato scegliere al calciatore. Alessandro voleva rimanere e ho rispettato la sua passione per il Toro. L’ho fatto rimanere con l’obiettivo di fare un grande campionato»

Quante volte litigate lei e Juric?

«All’inizio ci sono state diverse scintille. Ora lo lascio fare molto di più. Prima ero abituato a sentire e chiamare molto più spesso il mister, a presenziare agli allenamenti. Ora lascio più spazio perché ho capito che gli serve. Gli lascio la libertà di fare tutto quello che vuole e chiede. Ho un direttore sportivo che è li e che presidia, ma lascio fare a Juric. Oggi i rapporti sono migliorati, la squadra che ha a disposizione è buona. Lui ha qualità importanti, ed è giusto che possa lavorare in serenità senza la paura di continuare a farlo»

Parlando dell’inizio del campionato, qual è la difficoltà principale?

«Siamo lievemente attardati rispetto allo scorso anno, abbiamo 9 punti contro i 10 della scorsa stagione a questo punto. La squadra ha tutte le possibilità di fare bene. Io credo nel nostro mister, è bravo e gli scorsi anni ha fatto bene. Quest’anno la squadra si è confermata nelle componenti migliori che io non ho venduto per rafforzare il Toro. A questi si sono aggiunti gli acquisti di Zapata, Bellanova, Tameze, il ritorno di Vlasic. È stato fatto molto. Il Toro può fare bene e fare di più. Juric ha detto che vuole vedere più fanatismo nei giocatori. Non deve mollare neanche un secondo per cercare di trasmettere questo stesso fanatismo ai ragazzi, perché è con questo fanatismo che si riesce a far svoltare tutto. Mantengo grande fiducia»

Come sarà l’Italia tra 10 anni?

«Io ho fiducia, anche se le cose sono complicate e c’è un debito grande. L’Italia è rilanciabile facendo le cose giuste e invertendo la rotta, come io sono riuscito a rilanciare grosse aziende come La7 senza però toccare i dipendenti. L’Italia è un’azienda e come tale va risanata in modo sano e giusto, ci sono spese enormi; alcune possono essere evitate, altre (come le pensioni per coloro che hanno lavorato per il Paese) non si devono toccare. Va rilanciata la natalità, vanno ridotte le tasse, rilanciato il cuneo fiscale, va rilanciata l’Italia»

Lei scenderà in politica e proverà a sistemare l’Italia?

«La politica a me piace, vorrei fare molto per il Paese, ma ho già grosse aziende e tanti dipendenti da gestire. Sarebbe una bella cosa ma sarebbe molto complicato»

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