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Quando Mancini era orgoglioso di essere finocchio, oggi va nel Paese che li mette in galera (o peggio)

Anni fa si indignò in diretta tv. Crede nei valori e nella Madonna di Medjugorie. Magari gli apparirà anche a Riad, sperando che non la arrestino

Quando Mancini era orgoglioso di essere finocchio, oggi va nel Paese che li mette in galera (o peggio)
Db MIlano 16/04/2016 - campionato di calcio serie A / Inter-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Roberto Mancini-Maurizio Sarri

Se sappiamo comprendere i valori della vita, questa clip è un gioiello che sfiderà le ere.

E Roberto Mancini è una persona che porta elegantemente con sé il fascino dei valori. 

La clip è raffinata, un rapido scorcio di Roma, la mano scorre tra le decine di cravatte, la giusta piega ai pantaloni e poi una radio che si accende – una radio, con tanto di manopola, nel Duemilaventitré. La modulazione di frequenza. Il brusio di una valvola che si scalda, il caffè che fuma.

Già ebbe modo di mostrare i valori alla nazione intera quando, con espressione severa, in quel gennaio del Duemilasedici, al termine di una serata calcistica contro il Napoli di Sarri, si riferì sdegnosamente al tecnico toscano che su di lui aveva gettato parole di scherno. Un signore come lui, disse il Roberto dei valori, non può stare nel calcio. Si deve vergognare. “Se lui è un uomo, sono orgoglioso di essere frocio e finocchio” chiosò, bevendo in diretta il calice della segregazione.

Oggi il professionista Mancini ci lascia. Ha fatto la storia in Europa e va a farla in Arabia Saudita. La potenza della sfida cui si accinge non è ancora chiara a tutti. Ad anni di distanza da quella sera dei diritti, quella notte che incise una cicatrice nel suo animo, i tempi sembrano compiersi e quella indignazione assume nuovo significato. Egli sembra dirci: andiamo dove quelle parole ingiuriose sono rimosse per legge, dove le uniche deviazioni lecite sono quelle del portiere, dove mai più bisogna sentirsi reietti e chiamati con nomi di ortaggi e la anormalità è definita dai libri sacri. 

Mancini va a insegnare agli allenatori avversari a scegliere solo improperi compatibili coi valori, mentre l’Italia lo tratta come il mostro di Firenze. 

Poi c’è la fede. Quella non si batte. Quella che oggi fa fatica tra i giovani. Chierichetto. Un ragazzo di quarant’anni fa. Don Bosco. L’aiuto fondamentale della madonna di Medjugorje. L’ultima partita del City, la vittoria dello scudetto, il 13 maggio, proprio nel giorno dell’anniversario della madonna di Fatima. “Io credo che le persone che pregano hanno un aiuto”. I valori. I valori che tornano. E la sfida di Roberto Mancini che nella nuova destinazione non potrà certo portarsi una Bibbia o entrare in una chiesetta o trovare un curato di campagna. La sfida di Mancini è una sfida anche per la Madonna: per le persone che credono in lei, Ella forse accetterà di apparire a Riad. O durante una partita di qualificazione. E poi vediamo chi avrà il coraggio di ammanettarla, in mezzo al campo. 

Vai, Roberto. Insegna agli dei ad apparire dove nessuno se lo aspetta.

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