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La Suddeutsche: l’Italia ignora il doping degli anni ’90, quando vincevano tutto

Scrivono i tedeschi: “Dal 1989 al 1999, i club italiani hanno vinto in tutte le coppe: i loro professionisti ora sono molto nervosi sulla questione doping”

La Suddeutsche: l’Italia ignora il doping degli anni ’90, quando vincevano tutto
1988 archivio Storico Image Sport / Sampdoria / Gianluca Vialli / foto Imago/Image Sport

L’allarme relativo ai legami tra doping e malattie come il cancro nei calciatori approda sulla Sueddeutsche.

“Allarme nel calcio italiano. L’agitazione non potrebbe essere maggiore, come sempre quando si tratta di Doping”.

Il quotidiano tedesco ricostruisce le denunce di tanti giocatori dopo la morte di Mihajlovic e Vialli. Da Dino Baggio a Florin Raducioiu a Massimo Brambati, solo per citarne alcuni. Brambati ha anche dichiarato che quando ha provato a fare domande e a rendere pubbliche le sue perplessità circa le sostanze assunte dai calciatori, la Figc lo ha minacciato. La Sueddeutsche scrive:

“Questa è la Federazione Nazionale. Oggi la gestione delle crisi è più elegante”.

Cita Mancini, che invita ad avere cautela sul tema e che dice che la morte per cancro può capitare a chiunque, giocatore o meno e scrive:

“Il fatto che Mancini non sia né un medico né uno statistico, ma l’allenatore della Nazionale Italiana, miglior impiegato della Federcalcio, potrebbe aver offuscato un po’ la sua memoria. È inutile in questioni di frode pensare al ruolo del sistema di calcio professionistico. Il Doping è una compulsione sistemica, così come le massicce terapie dei professionisti ad alte prestazioni. Per quanto riguarda l’Italia in particolare, il dibattito sugli anni Novanta si riferisce proprio al tempo in cui la Federcalcio dominava il mondo del calcio. Dal 1989 al 1999, i suoi club hanno partecipato otto volte alla finale dei campioni nazionali, hanno vinto tre volte la Coppa delle coppe e non hanno quasi mai lasciato la Coppa Uefa fuori dai confini nazionali italiani: otto volte hanno vinto i club di Torino, Milano, Napoli, Genova, Parma, i cui professionisti sono così nervosi ora. Una volta lo era anche Vialli. A quel tempo, nel 1998, però, avrebbe voluto chiudere la bocca a Zdenek Zeman. L’allenatore della Roma lo aveva citato come esempio dell'”esplosione muscolare nei giocatori della Juventus” che erano stati indagati: il calcio italiano doveva “uscire dalla farmacia”. E invece solo Zeman uscì dall’area di lavoro della Federcalcio”.

Poco dopo, ricorda il quotidiano tedesco, è scoppiato il caso doping nella Juventus, cosa che dimostra che Zeman aveva ragione.

“La post-elaborazione degli anni del doping è estremamente importante Nel calcio, come nella corruzione, c’è sempre bisogno della giustizia, altrimenti tutto rimane sotto i tappeti nobili che l’industria super ricca può tessere da sola”.

E ancora:

“Negli anni Novanta, in Italia, migliaia di campioni non sono stati analizzati affatto, i risultati positivi sono finiti nel bidone della spazzatura, durante i controlli sono state trovati riscontri sul doping nel sangue di intere squadre”.

Baggio dice che all’epoca i calciatori erano controllati ogni poche settimane.

“Ma certo, per protocollo”.

La Sueddeutsche continua scrivendo che gli effetti a lungo termine delle sostanze somministrate ai giovani per conservare o aumentare le loro prestazioni, per loro stessa natura si manifestano solo in seguito.

“Qualsiasi studio effettuato sul calcio mostra l’uso eccessivo di antidolorifici, mentre sono comuni i corticoidi e altro. Secondo uno studio della Fifa sui tornei di Coppa del mondo dal 2002 al 2014, otto professionisti su undici giocano sotto farmaci”.

 

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