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Il Telegraph stronca la docuserie Netflix sul tennis: «Dov’è l’odio? Trasforma Kyrgios in un peluche»

«Break Point» avrebbe dovuto rivelare le faide e invece affonda nella “troppa civiltà” del Tour: “mancano i micro-conflitti, le parti stronze”

Il Telegraph stronca la docuserie Netflix sul tennis: «Dov’è l’odio? Trasforma Kyrgios in un peluche»
Londra (Inghilterra) 10/07/2022 - finale Wimbledon maschile / foto Imago/Image Sport nella foto: Nick Kyrgios ONLY ITALY

Doveva essere il “Drive To Survive” del tennis. Invece “Break Point”, la docuserie sul dietro le quinte (possibilmente cattivo) del tennis “ha trasformato Nick Kyrgios in un peluche”. Uno che “in qualsiasi elenco degli atleti più divisivi dello sport, sarebbe con Tyson Fury e Ronnie O’Sullivan”. Simon Briggs, inviato di punta del Telegraph per il tennis, ha visto la serie e non gli è piaciuta, insomma. “Dov’è l’odio?”, si chiede. E parla di “occasione persa”.

“Dopo tutto il clamore che circonda questo progetto, Break Point avrebbe dovuto scavare nella superficie del pianeta tennis e rivelare le faide e le fazioni sottostanti. Forse sono queste alte aspettative che hanno reso il tono gentile e non controverso del primo episodio una delusione”.

Cinque dei dieci episodi di Break Point usciranno venerdì prossimo. Il migliore sarà il numero 3, quello su Fritz che Fritz non ha il coraggio di guardare. “Ma non c’è alcun segno del feroce dietro le quinte che ha trasformato la precedente impresa di Netflix – Drive To Survive – in un colosso”.

Forse perchè per Drive To Survive ha giocato il fattore novità, e gli spettatori erano ancora un po’ “ingenui”, scrive Briggs. Verstappen peraltro dopo la prima stagione se ne è tirato fuori lamentando la creazione di “false rivalità”. Però “l’eccessiva civiltà deriva dalla dinamica unica del tour. In parte circo, in parte collegio, riunisce i giocatori negli stessi ristoranti, lounge e spogliatoi per almeno dieci mesi all’anno, a differenza della F1, dove le squadre si rifugiano nelle rispettive roulotte”. I tennis così “sono diventati congenitamente diffidenti nei confronti dei conflitti”.

Bella la maturità dei protagonisti, scrive ancora Briggs, ma “non è ottima tv. La gioia dei reality show sta nei micro-conflitti, nelle parti stronze. Ci sono fan non sportivi che guardano Drive to Survive perché ricorda loro Real Housewives of Beverly Hills”.

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