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Dazn è il primo servizio bondage. Evidentemente alla Lega Serie A piace (agli utenti meno)

La Lega Serie A non ha la lungimiranza di calcolare i danni che produce all’immagine del calcio italiano l’alleanza con l’azienda leader dei disservizi

Dazn è il primo servizio bondage. Evidentemente alla Lega Serie A piace (agli utenti meno)

Luigi De Siervo sarebbe stato un gran prete di paese. Uno di quelli integerrimi, con le dieci avemmaria a portata di mano, buone per tutti i peccati. A multipli di dieci. Dieci, cento, mille avemmaria: dalla parolaccia sconcia all’omicidio. L’amministratore delegato della Serie A, avendo intrapreso tutt’altra carriera, usa un’altra metrica: il “pezzottismo”. Non parla d’altro, e anche a precisa domanda poi devia, inarca la retorica fino ad incrociare i diritti tv, e lì affonda. Indica il dito su di te, caro telespettatore che pure stai pagando, legamente, per guardare il calcio italiano in tv, affinché non ti colga nemmeno il dubbio, la pazza idea di sfanculare Dazn e darti alla clandestinità. Paghi 19,90 euro, o 29,90, o – come dal 1 gennaio – 39,90 euro poco importa. E’ quella la via, l’unica ammissibile. Accigliatissimo ti ricorda che è “la pirateria” che uccide il calcio. E tu sei lì, bravo cittadino titolare di un abbonamento plus da 54,99 euro al mese, ad annuire mentre la rotellina gira sullo schermo. Come girava nel 2021, poi nel 2022, e ancora nel 2023. I “problemi tecnici” – benché limitati una toppa dietro l’altra – sono evidentemente diventati endemici. È rincuorante, in fondo fa tanto Natale, tradizione. Vorresti sacramentare, ma no: De Siervo ti guarda. Scrolla il dito: non ci pensare proprio. Non c’è altro dio al di fuori di Dazn.

A giugno De Siervo disse che “29 euro è il prezzo che c’è in tutta Europa. È il prezzo corretto per un campionato di dieci mesi e che ha 380 partite”. Stava difendendo la scelta di limitare la condivisione degli abbonamenti, restringendo il campo dei piani standard – che adesso per i nuovi abbonati costano 39,90 al mese –  alla “visione contemporanea solo se sulla stessa rete WiFi”. Che è un po’ come la corazzata Potëmkin per Fantozzi. E disse che era colpa nostra se Dazn fa così: “Purtroppo l’Italia è un paese in cui c’è sempre una tendenza ad approfittarsene”. Il “pezzotto”, appunto.

Il senso di colpa è il vero propulsore unico dell’italiano medio. E infatti fin dagli esordi anche Dazn aveva ribaltato il senso stesso delle protesta: prima il problema era lo stato pietoso della nostra infrastruttura, poi delle nostre ridicole conoscenze digitali. Il cliente trattato come un mendicante al semaforo: povero e ignorante.

Il combinato disposto Lega-Dazn ha moltiplicato al ribasso, rilanciando ogni volta, il rapporto qualità-prezzo. Servizio non paragonabile alle altre piattaforme di streaming, e costi sempre più alti. Con una logica di mercato da primo anno di economia politica, quella del monopolio. Questo è, altrimenti ciao.

L’italiano ciclicamente corre a bestemmiare sui social – ieri è successo di nuovo per Inter-Napoli – ma fondamentalmente china il capo. Consapevole ancorché renitente. La Serie A intanto ha deciso, addirittura invocando la proroga dell’attuale contratto di esclusiva, di fondersi con Dazn. Di diventare simbiotica. Lasciando all’azienda appaltatrice della trasmissione della sua stessa immagine, più o meno, campo libero. Con l’Agicom – tenerissima – a sventolare linee guida e rimproveri, senza tema di infliggere vere sanzioni. Il capolavoro del Garante per le Comunicazioni  fu la lettera a Dazn per chiedere – per piacere! – di pensare a forme di rimborso “semplificate” per gli utenti colpiti dai disservizi.

E così Dazn ha preso le forme di un servizio di bondage. Noi, zitti sotto, loro possono pure muoversi come il Savonarola di Troisi e Benigni. Perché? Perché l’alternativa è il nulla: non guardare le partite, andare al cinema, a teatro, uscire con la famiglia. Oppure passare al lato oscuro della forza. Il “pezzotto”, con tutti i risvolti penali del caso. Chiedete a De Siervo. Vi risponderà che il problema è quello, non Dazn. Che “in Italia ogni anno si perdono oltre 260 milioni per la pirateria, soldi che finiscono nelle mani della criminalità organizzata e che vengono sottratti ai club”.

La Serie A non ha la lungimiranza, l’intelligenza aziendale, di calcolare i danni di questa santa alleanza con un partner tecnologico fuori mercato. Si fa bastare i soldi che il contratto gli garantisce, nel vilipendio ormai costante della sua stessa reputazione. Tanto la colpa è sempre dell’utilizzatore finale di Berlusconiana memoria. Guardate il dito di Don De Siervo che indica il colpevole. Sì, sei tu: 100 avemmaria, e amen.

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