Al Corsera: «La prima reazione per i genitori è lo sconforto. Sono sincero: è la paura, la disperazione. Il percorso delle classi differenziali porta alla ghettizzazione»
Elio si racconta in un’intervista rilasciata a Walter Veltroni per il Corriere della Sera dove racconta delle tante voci sullo scioglimento del gruppo e del Concertozzo che si terrà il 26 maggio a Monza insieme al Trio Medusa. Al termine si parla di suo figlio, Dante, e delle difficoltà di crescere un figlio autistico.
Quali sono i segnali che avete avvertito?
«La prima cosa che vorrei dire ai genitori è che bisogna fare presto, non aspettare i tre anni, non rinviare. Noi abbiamo visto che Dante aveva un’attenzione ossessiva per le trottole, anche lui girava su sé stesso e non finiva mai di farlo. Aveva attenzione per le cose e non per le persone. L’autismo può portare gravi difficoltà relazionali, anche ritardi mentali, motori, cognitivi».
A chi avete chiesto aiuto?
«È tutto incerto, la prima reazione è lo sconforto. Sono sincero: è la paura, la disperazione. Manca tutto, credimi. Manca tutto. Manca un protocollo che una mamma e un papà possano seguire, che funzioni da bussola in quel maremoto. Devono cercare con il lanternino, da soli, nel dubbio di non aver trovato persone e soluzioni giuste».
Cosa pensi dell’idea di Vannacci a proposito delle classi differenziali?
«È un’idea vecchissima, superata dall’esperienza. Quello che fa bene è l’inclusione. È quello che deve accadere per portare benefici ai nostri figli. Bisogna che questi ragazzi siano aiutati a crescere insieme agli altri. Non separati. E questo fa bene a tutti, l’obiettivo è quello dell’autonomia e dell’indipendenza, per quanto possibile. Il percorso delle classi differenziali invece porta alla ghettizzazione».
Come sta Dante?
«Ora ha 14 anni, lui è consapevole. Anche troppo, lo dice continuamente. Ha fatto un lavoro impressionante, una fatica struggente. Anche in questo, i ragazzi autistici pagano un prezzo rispetto ai loro coetanei. Per lui tutto è stato fatica: mettersi una maglietta, andare in bagno, parlare. Tutto gli è stato insegnato. Lui ha faticato tanto, ma noi ci siamo potuti permettere che fosse seguito. Ma chi non ha i soldi? Anche qui, proprio quando la mano pubblica dovrebbe riequilibrare le differenze, invece si accentuano le diseguaglianze sociali. Esistono associazioni, ma sono private. Non c’è nulla di pubblico che affronti il problema dell’autismo e sia vicino alle famiglie».
Come immagini il futuro di tuo figlio?
«Non riesco a immaginarlo. Da una parte è un incubo, la sua solitudine quando noi non ci saremo, dall’altra un sogno, quello di una vita libera e indipendente. È il dramma di centinaia di migliaia di persone in questo Paese. Sembra sia scomodo o inopportuno persino parlarne. In Lombardia hanno tagliato addirittura i fondi per quelli che — nell’uso dell’inglese non risparmiamo—vengono chiamati i caregiver per i casi di disabilità grave».