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Contro questo Napoli, la Roma di Mourinho solo così poteva giocare

Spalletti ha saputo giocare in un modo ancora diverso, solo 44 tocchi per Lobotka. Osimhen tatticamente decisivo, non solo per il gol.

Contro questo Napoli, la Roma di Mourinho solo così poteva giocare
Db Roma 23/10/2022 - campionato di calcio serie A / Roma-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: esultanza gol Victor Osimhen

José Mourinho e la difesa come necessità

È assolutamente certo, anche se non dimostrabile dal punto di vista empirico, che esistano allenatori difensivisti e allenatori offensivisti. Per esempio quella tra Mourinho e Spalletti, anche e soprattutto alla luce di quanto accaduto ieri sera durante la partita Roma-Napoli, potrebbe essere considerata una sfida tra un allenatore difensivista e un allenatore offensivista. Anche la storia e la carriera e la dialettica dei due tecnici, in questo senso, parlano in maniera piuttosto chiara.

Allo stesso tempo, però, va anche ricordato che gli allenatori – non tutti, almeno – non sono degli idealisti, dei fondamentalisti. Prendete proprio la Roma di Mourinho vista ieri sera: con Dybala (e Wijnaldum) fuori per infortunio, e con Zalewski assente dell’ultim’ora, non è che Mourinho avesse molta scelta. E poi è anche – lo è sempre – una questione di avversari. Per dirla brutalmente: contro il Napoli visto finora in questa stagione, quanto avrebbe potuto pagare una strategia ambiziosa e/o offensiva?

Mourinho, insomma, ha schierato l’unica Roma che poteva schierare. Ha giocato nell’unico modo in cui poteva giocare per provare a togliere punti al Napoli. Ha difeso per necessità, prima ancora che per fede o ideologia. Così ha sporcato la partita e ha inibito un po’ la squadra di Spalletti, che però ha troppa qualità – in alcuni giocatori, ma anche come valore medio di una rosa vastissima – per poter essere contenuta lungo 90 minuti più recupero. Per riuscirci, serve essere perfetti, avere un po’ di fortuna e sperare possa bastare. Stava bastando, poi però si è manifestato Victor Osimhen. Uno di quelli che ha qualità superiori. Anche se, va detto, anche la sfida tattica a un certo punto è andata e/o stava andando nella direzione del Napoli. Vediamo perché.

La gabbia

Le scelte iniziali di Spalletti sono state poco sorprendenti, ma significative: Olivera a sinistra – al posto di Mário Rui – per provare a evitare, o quantomeno a contenere, il mismatch con Zaniolo; Ndombélé a centrocampo al posto di Anguissa, per tenere alto l’impatto fisico contro Cristante e Camara; Osimhen di nuovo al centro dell’attacco, con Lozano e Kvara ai suoi lati, per aggredire la profondità in maniera costante e tenere sempre bassi – ancora più bassi – Mancini, Smalling e Ibañez.

Mourinho, da parte sua, ha schierato una Roma asimmetrica, sia in fase attiva che passiva: quando erano loro a tenere palla, i giallorossi si schieravano con una sorta di 3-4-1-2 in cui però Zaniolo non operava da seconda punta, piuttosto da esterno destro; Pellegrini, invece, era un vero e proprio trequartista libero di spaziare e muoversi dappertutto, anche perché l’ampiezza sulla fascia mancina era garantita da Spinazzola. Sulla corsia di Zaniolo c’era spazio più anche perché Karsdorp avanzava pochissimo, ed era molto schiacciato anche in fase difensiva, quando la Roma creava una sorta di 5-3-1-1, in cui però il lato destro era presidiato da Zaniolo e Karsdorp, più il centrocampista di parte (Cristante), mentre dall’altro lato c’era una copertura inferiore da parte di Pellegrini.

In alto, la Roma in fase di impostazione: i due centrocampisti centrali che giocano la palla, Spinazzola più avanzato di Karsdorp, Pellegrini tra le linee, Zaniolo largo a destra; sopra, invece, un momento di fase passiva della Roma con grande densità sulla fascia destra, la sinistra del Napoli.

Per tutta la settimana si è parlato di una marcatura particolare per Kvaratskhelia, preparata da Mourinho. E alla fine eccola qui, la gabbia del tecnico portoghese per l’esterno georgiano del Napoli. In realtà si tratta semplicemente di una scelta di bilanciamento sull’asse orizzontale: visto che Kvara è decisamente più impattante sul gioco della sua squadra rispetto a Lozano, o anche a Politano, allora il tecnico della Roma ha preferito fare maggiore densità dalla sua parte.

Se vogliamo parlare di gabbia e di marcature a uomo, va necessariamente citata anche un’altra mossa dall’ispirazione contenitiva, fatta da Mourinho: l’utilizzo di Pellegrini come angelo custode – o meglio: come stalker – di Lobotka in fase di non possesso. In effetti la presenza costante del capitano della Roma a pochi metri da colui che è il metronomo del Napoli ha avuto un certo effetto: Lobotka ha finito la partita con 44 palloni giocati, appena due in più rispetto a Ndombélé – che però è stato sostituito al decimo minuto della ripresa.

La Roma

La Roma

Una marcatura a uomo vecchio stampo

In questo modo, Mourinho ha raggiunto anche un altro obiettivo tattico: ha costretto il Napoli a non passare dal centro per costruire manovre offensive. E infatti le rilevazioni a fine gara dicono che la squadra azzurra ha portato il pallone sulla fascia sinistra nel 44% dei casi; a sinistra, la stessa quota è del 35%. Praticamente, il Napoli ha dovuto allargare il pallone e giocare in ampiezza in 8 azioni su 10. Infine, l’ultimo dato che descrive l’atteggiamento e quindi il piano-partita della Roma: quello relativo al baricentro delle due squadre. Secondo quanto raccolto dalla Lega Serie A, sia la Roma che il Napoli hanno tenuto un’altezza media piuttosto coerente, come si vede chiaramente da questo grafico.

La Roma

Dieci metri di differenza, lungo tutta la partita

In una situazione del genere, il Napoli ha dovuto pensare e attuare dei meccanismi alternativi, per poter forzare il sistema difensivo dei suoi avversari di giornata. Uno di questi è stato il ricorso alle sovrapposizioni interne da parte dei terzini. In pratica, Di Lorenzo e – soprattutto – Olivera sono venuti spesso a giocare all’interno, nel mezzo spazio tra la zona centrale del campo e la loro fascia di competenza, mentre invece i laterali offensivi – Lozano e Kvara – rimanevano larghissimi. Il fatto che, a fine gara, proprio Di Lorenzo e Olivera siano stati i giocatori col maggior numero di palloni toccati – 96 per entrambi – dice tanto sul modo in cui il Napoli ha dovuto approcciare la gara dell’Olimpico.

In alto, tutti i palloni giocati da Di Lorenzo; sopra, tutti i palloni giocati da Mathias Olivera. Si capisce, ma è sempre bene chiarirlo, che in questi campetti il Napoli attacca da destra verso sinistra.

L’azione che porta alla concessione – poi revocata dopo On Field Review – per l’intervento di Rui Patrício su Ndombélé nasce proprio da una percussione interna di Olivera, e poi prosegue con Di Lorenzo che riceve e smista il pallone in posizione da mezzala, più che da terzino, mentre Politano resta larghissimo sulla destra. In questa situazione particolare, il Napoli ha liberato Zielinski e Ndombélé grazie ai suoi due terzini costantemente in appoggio: le due mezzali, scambiandosi la posizione e lavorando in verticale, hanno bucato la difesa della Roma, prima dell’intervento dubbio del portiere.

I vecchi terzini di spinta ora sanno fare anche le mezzali

Quest’azione dimostra che il calcio, anche ai massimi livelli, può essere uno sport non-casuale. Può essere studiato, preparato, indirizzato con delle decisioni e degli accorgimenti tattici. Con delle scelte che, in teoria, sono tutte possibili e intelligenti, solo che poi solo alcune si rivelano decisive: quelle veramente giuste. Nel caso di Roma-Napoli, la scelta veramente giusta di Spalletti è stata quella di schierare Victor Osimhen e poi di insistere con lui come centravanti. Per il gol meraviglioso che ha deciso la gara, di cui parleremo tra poco, ma anche per la costante sensazione di pericolo che l’attaccante nigeriano ha generato nella difesa della Roma.

Tenere bassa la Roma, ancora più bassa

L’abbiamo già scritto, lo ripetiamo: la scelta di schierare Osimhen come centravanti, da parte di Spalletti, è nata dalla volontà di tenere bassa la Roma. Ancora più bassa di quanto non lo fosse già. Per capire cosa intendiamo, basta riguardare l’azione che porta all’ammonizione di Smalling:

Un momento-svolta dell’incontro, anche se a prima vista non sembrerebbe

In una situazione del genere, Raspadori non si sarebbe mai fatto trovare in posizione così avanzata: nel caso avrebbe ricevuto il pallone dopo aver accorciato molto il campo; forse Smalling non l’avrebbe seguito come ha seguito Osimhen, ma di certo non avrebbe dovuto assorbire tutto quello strapotere fisico in quella zona di campo: sarebbe rimasto al centro della sua retroguardia, magari qualche metro più avanti, visto che il Napoli avrebbe risalito il campo con molti più passaggi.

Con Osimhen, invece, il Napoli ha avuto sempre uno scarico in verticale. Questo non vuol dire che il centravanti nigeriano sia rimasto isolato in avanti: in realtà ha giocato molti palloni in zone che per lui sono arretrate, spesso ha legato i reparti piuttosto che allungare e allargare il campo come suo solito – questo particolare era stato già notato da Massimiliano Gallo nell’analisi a caldo di ieri sera. Però la sua presenza, come detto prima, ha tenuto Smalling – e quindi anche i suoi compagni – costantemente sul chi va là, e poi ha determinato l’ammonizione del centrale inglese. È stato un giallo pesante, visto che il gol da cineteca segnato a dieci minuti dalla fine nasce proprio dall’impossibilità, da parte si Smalling, di fermare Osimhen nell’unico modo in cui era possibile farlo: facendo fallo da ammonizione.

Il gol

Quello segnato da Osimhen è un gol dal grande significato tattico. Per tanti motivi. Intanto, tutto parte da una buonissima giocata di Gaetano, subentrato al posto di Zielinski, che gestisce con calma il pallone senza toccarlo e poi dà il via a una trasmissione veloce, da sinistra verso destra, che coinvolge Kim Min-jae e poi Di Lorenzo. A quel punto, il Napoli – come da sua identità ormai consolidata – pensa e muove il pallone in verticale, solo che Lozano è stato sostituito da Politano. Vale a dire un calciatore che non ha la fisicità e quindi lo spunto per attaccare la profondità, che oltretutto gioca a piede invertito e allora preferisce accorciare e ricevere il pallone sulla figura.

Il punto, però, è che anche Politano ormai ha installato dentro di sé un software che gli permette di essere parte di un Napoli che ragiona in maniera diversa rispetto al passato. Che gioca in modo diretto. E allora Osimhen è tornato a fare Osimhen, cioè quello che sa fare meglio: ha allungato il campo, costringendo Smalling a rinculare, a scappare all’indietro. Politano, per l’appunto, serve un assist che Lozano non potrebbe mai servire e non avrebbe mai servito, mette un pallone su cui la Roma non aveva ancora difeso. Osimhen è due – ma anche tre – volte più veloce di Smalling, lo supera e non può subire fallo. Perché sarebbe rigore e perché, anche se fosse fuori area, Smalling lascerebbe i suoi compagni in dieci, visto che è già stato ammonito nel corso del primo tempo.

Uno dei gol più belli dell’anno?

Il tiro di Osimhen prescinde dall’analisi tattica, dal lavoro che facciamo in questo spazio del Napolista. Ma va detto che si tratta di una conclusione ad altissimo coefficiente di difficoltà, visto l’angolo ristrettissimo di tiro, la coordinazione necessariamente volante, il fatto che il pallone rimbalzasse, e allora non fosse pienamente in suo controllo.

Tattica e intensità

In realtà il Napoli della ripresa aveva costruito altre occasioni. Soprattutto nei momenti in cui era riuscito, come nel caso del gol di Osimhen, a creare azioni veloci, ad alta intensità. A creare le condizioni per cui la Roma dovesse attuare la sua fase difensiva con sei o sette giocatori di movimento, non con otto o nove. E infatti i numeri non mentono: nella seconda frazione di gioco, la squadra di Spalletti ha messo insieme 8 conclusioni, esattamente il doppio rispetto ai primi 45 minuti di gioco. Di queste 8 conclusioni, 3 sono finite nello specchio della porta di Rui Patrício, bravissimo su Lozano in apertura di ripresa. La Roma, invece, ha tirato per 6 volte in tutta la partita verso la porta di Meret. Senza centrarla mai, nemmeno una volta.

Anche questa, in fondo, è analisi tattica: il Napoli non ha rischiato niente e ha saputo rendersi pericoloso – nel senso che ha fatto valere la sua maggior qualità assoluta – nel momento in cui è riuscito a giocare in maniera intensa, veloce, e così ha messo il talento dei suoi giocatori nelle condizioni di esprimersi al meglio. Il gol è arrivato quando è entrato un giocatore con caratteristiche diverse, e allora l’anima verticale di Osimhen – che poi è l’anima del Napoli – è stata attivata, assecondata, con un nuovo meccanismo. Con una giocata che non si era mai vista prima, e che quindi ha messo in crisi il sistema difensivo della Roma.

Conclusioni

Ecco cosa vuol dire saper pescare dal proprio organico. Ecco cosa vuol dire leggere il gioco – prima e durante le partite – e poi agire di conseguenza. Come detto più volte, l’ingresso di Politano ha aperto al Napoli delle possibilità diverse da quelle offerte da Lozano fino al momento della sua uscita. Allo stesso modo, però, anche le decisioni di mantenere Osimhen in campo e inserire Gaetano hanno fatto la differenza – ovviamente in misura proporzionalmente inferiore, ci mancherebbe.

Spalletti sta guidando il Napoli in maniera esemplare – anzi: viene da dire perfetta – proprio perché è in grado di allenare in questo modo. Perché riesce ad avere intuizioni che, pur senza manomettere l’identità di riferimento della sua squadra, riescono a cambiarle forma. A darle un senso diverso, prima di ogni partita e anche nel corso di ogni partita.

Un’altra intuizione di questo tipo fu quella relativa a Raspadori contro lo Spezia, tenuto in campo addirittura al posto di Kvaratskhelia e poi autore del gol-partita. Ecco, questi sono questi i punti guadagnati che stanno facendo la differenza rispetto allo scorso anno. È questo il surplus che riesce a dare Spalletti: ha delle idee e prova ad attuarle, dopo averci lavorato su. Il fatto che siano quasi sempre quelle giuste si legge tra le righe delle classifiche di Serie A e di Champions League. Si percepisce nel modo in cui la Roma ha affrontato il Napoli: con la necessità di difendere, perché in fondo non poteva fare altrimenti. E alla fine non è bastato, nonostante tutto.

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