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Vittorio Feltri: «Era Di Pietro la mia fonte di Tangentopoli. Craxi cinghialone? Mi sono pentito»

Al Corsera: «Capii che non era un ladro quando andai al Raphael, la sua stanza era la tana di un animale ferito. Ho fondato io Retequattro»

Vittorio Feltri: «Era Di Pietro la mia fonte di Tangentopoli. Craxi cinghialone? Mi sono pentito»

Vittorio Feltri intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Ne riportiamo qualche stralcio.

Com’è diventato di destra?

Feltri: «Io non sono mai stato di destra. Sono un borghese antifascista e socialista».

Ma battezzò Craxi il cinghialone.

«Giorgio Fattori mi affida la direzione dell’Europeo, che mi accoglie con due mesi di sciopero. Non due giorni; due mesi! Ma tengo duro, e raddoppio le copie. Poi vado all’Indipendente e, sì, invento questa cosa del Cinghialone. Un po’ me ne sono pentito, però funzionava… Capii che Craxi non era un ladro quando andai a trovarlo al Raphael: mi aspettavo una suite imperiale; era la tana di un animale ferito. Poi abbiamo fatto pace. Da Hammamet mi telefonava ogni sera, e gli facevo la rassegna della giornata».

Chi era la sua fonte ai tempi di Tangentopoli?

«Di Pietro. Eravamo amici da quando lui scoprì il mostro di Leffe».

Il mostro di Leffe?

«Di Pietro era pm a Bergamo. Lo prendevano in giro per i suoi modi rozzi, ma capii subito che era un investigatore formidabile. Ruvido, cattivo, scaltro: all’americana. C’è questo signore di Leffe che nel 1983 uccide la suocera, la sotterra in montagna, ammazza moglie e figlia e le mura in casa. Poi scappa in Germania, da dove manda cartoline firmate pure dalle defunte, per sviare le indagini. Ma Di Pietro, da geniaccio qual è, intuisce tutto, fa irruzione in casa, trova i cadaveri. E passa la notizia soltanto a me».

Lei però ruppe con Di Pietro e andò a dirigere il Giornale di Berlusconi.

«Mi offrirono di fare il condirettore di Montanelli, e ovviamente rifiutai. Allora mi proposero la direzione; ma io guadagnavo mezzo miliardo l’anno all’Indipendente, e l’offerta non mi soddisfaceva. Così mi alzai e me ne andai. Mi attardai all’ascensore, nell’attesa di essere richiamato. Cominciai a pensare: questi non mi richiamano mica…».

Chi erano questi?

«Fedele Confalonieri e Paolo Berlusconi. Invece Paolo mi inseguì: “Facciamo 700 milioni?”. Più tardi Silvio mi offrì il 7% del Giornale, compreso il palazzo di via Negri; e quando me ne andai, vendetti tutto. Berlusconi mi ha fatto ricco. Per questo non posso parlarne male…».

Sua moglie lavorava a Rete4?

«Io sono il fondatore di Rete4, che nacque a Bergamo e si chiamava Video Delta. Andava malissimo. Pensai di risollevarla con i film di don Camillo e Peppone. Angelo Rizzoli me li vendette per due lire: il Paese va a sinistra, disse, e Guareschi non lo vuole più nessuno. Invece fu un trionfo. Così la nostra tv finì prima alla Mondadori, poi a Berlusconi».

Sua moglie lavorava per lui?

«Sì; ma non lo sapeva nessuno. Fino a quando un giorno, in Mediaset, Silvio chiese: dov’è la moglie di Feltri? “Sono io” rispose Enoe. Per tutti era la signora Bonfanti, il suo cognome da ragazza».

Cos’è per lei Milano?

«Il cervello del Paese; ma non ha gambe, né pugni. Non sa imporsi. È sottorappresentata nella politica e nella cultura».

E la Lombardia?

«A Milano sono un po’ fighetti; infatti votano Sala. Gli altri lombardi sono più ruspanti. Mi piacerebbe candidarmi alle prossime regionali. Fare qualcosa per la mia piccola patria».

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