Lo Stato italiano ha da tempo abdicato, sono zone franche dove vige la legge del più forte. Il calcio se ne sta zitto, tanto non ci sono prebende da assegnare
Cronache tribali da Milano e dagli stadi italiani. Quel che è accaduto ieri sera a San Siro può sorprendere soltanto chi non ha mai messo piede in una curva (ma ormai un settore vale l’altro) di un qualsiasi stadio del nostro Paese. E, aggiungiamo, chi non ha mai parlato degli stadi italiani con amici e parenti. Sintetizzando: non sorprende nessuno. Non sorprende nessuno che alla notizia dell’uccisione del capo ultrà dell’Inter – una bravissima persona con appena 26 anni di carcere alle spalle – gli affiliati nerazzurri abbiano sgomberato con le buone o con le cattive le gradinate della curva Nord in segno di lutto. Possono farlo. Non solo si sentono legittimati a farlo. Ma si sentono e di fatto sono autorizzati a farlo.
È questo il passaggio fondamentale. Da decenni lo Stato italiano, l’ordine pubblico italiano, ha dichiarato gli stadi italiani zone franche del Paese. Per una determinata ragione, probabilmente per evitare guerriglie settimanali, si è deciso di cedere le curve al dominio del più forte. Accade a Milano come a Roma, Napoli, Bergamo, Verona, Torino. Ovunque. Non è un caso che i capi ultrà siano da anni esponenti importanti della criminalità. E dagli stadi comandano e muovono i loro traffici. L’esempio più eclatante è quello del laziale Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, pezzo grosso del traffico di stupefacenti a Roma, ucciso in un regolamento di conti. È all’omicidio Piscitelli che gli inquirenti guardano per risalire ai mandanti e agli esecutori dell’assassinio di Vittorio Baiocchi il pluripregiudicato di 69 anni ucciso ieri sotto casa a Milano.
È ormai storia più che cronaca il controllo della curva della Juventus da parte della ‘ndrangheta. Di esempi ce ne sarebbero tantissimi. Riguardano tutte le squadre di Serie A e non solo, senza alcuna eccezione. Non c’è bisogno di ricordare quel che ultimamente sta accadendo a Firenze e non in curva ma in tribuna.
Numerose le agghiaccianti testimonianze lette oggi su quel che è successo ieri sera a San Siro durante Inter-Sampdoria. Genitori picchiati davanti ai loro bambini, gente fatta ruzzolare per i gradoni dello stadio. In quel momento, e sempre nelle curve italiane, prevale la legge del più forte. È francamente ridicolo quel che leggiamo: le forze dell’ordine attendono che queste denunce social si convertano in denunce vere e proprie. Se non arriveranno, è perché le persone “normali”, i cittadini onesti, non si sentono sicuri, non avvertono di vivere in uno Stato che possa loro garantire l’incolumità. Accade nei Paesi in cui lo Stato è pericolosamente arretrato di fronte al dilagare della criminalità. Accade dove le Stato è percepito come più debole delle tribù.
Hanno davvero bisogno delle denunce per sapere chi sono i capi bastone delle curve degli stadi italiani? Partendo dalla Curva Nord dell’Inter? E allora i biglietti nominali a cosa servono? Le decine di telecamere che consentono i controlli negli stadi a cosa servono? Ricordiamo un’audizione di Andrea Agnelli in commissione antimafia in cui diceva che ormai il sistema di video-vigilanza all’interno dello stadio consentiva il controllo di qualsiasi atto e il conseguente riconoscimento dei responsabili. È valido per tutti gli stadi italiani, certamente anche per San Siro.
Ovviamente in queste ore non ci pare di aver ascoltato nulla dalle società di Serie A. Men che mai dal presidente della Federcalcio Gravina. O dal numero uno del Coni Malagò. Il presidente della Lega Serie A Casini lo citiamo giusto per scrupolo. Non ci sono prebende da chiedere e quindi se ne sta tranquillo in silenzio. Se non ci sono dividendi, i presidenti di Serie A se ne fregano. Troppo miopi per comprendere che la vendita del prodotto Serie A parte da qui. Non ci arrivano. Tutti belli schisci anche sulla questione plusvalenze che oggi sta travolgendo la Juventus, domani chissà.
Di fronte alla vergogna di Milano passa in terzo piano la maglia scippata a Napoli, in Curva A, ai tifosi georgiani venuti per tifare Kvaratskhelia. Il calciatore l’ha donata loro e un furbone se n’è appropriato e se l’è data a gambe. Abbiamo letto che un episodio simile, addirittura più schifoso, è accaduto allo stadio Tardini di Parma dove un paio di settimane fa un adulto aveva scippato dalle mani di un bambino la maglia che il calciatore Oosterwolde gli aveva lanciato. Un episodio che definire ignominioso è poco. Il giocatore ha poi provveduto a consegnare di persona al piccolo Stefano insieme con un pallone che gli è stato donato dalla Lega Serie B.
Questo è il livello del calcio italiano. E così sarà a lungo. Senza alcuna speranza che possa cambiare qualcosa. Chi va allo stadio, lo fa a proprio rischio e pericolo. Nella stragrande maggioranza dei casi non accade nulla. Ma se accade qualcosa, non si può fare nulla perché si tratta di territori sottratti alla legge dello Stato. Sono zone franche dove vige la legge del più forte.