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Non servivano due allenamenti in più per battere la Nord Macedonia

Fermare il campionato sarebbe stato per il calcio italiano un altro modo di lavarsi la faccia con una inutile soluzione improvvisata. A questo punto, meglio così

Non servivano due allenamenti in più per battere la Nord Macedonia
Db Palermo 24/03/2022 - Playoff Qualificazioni Mondiali Qatar 2022 / Italia-Macedonia del Nord / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Ciro Immobile

È semplicemente una domanda, assolutamente in buona fede: qualcuno – tra i tanti, tantissimi che lo stanno dicendo, scrivendo, propagandando da giorni – crede davvero che all’Italia sarebbe bastato qualche giorno di allenamento in più per andare ai Mondiali? Perché, sia chiaro, fermare il campionato per permettere a Mancini di lavorare con più serenità poteva essere senza ombra di dubbio una scelta elegante, rispettabile. E che la Lega Calcio sia decisamente disabituata a scelte quantomeno dignitose è sotto gli occhi di tutti, vedesi alla voce recuperi. Ed è dunque perfettamente comprensibile che l’ineleganza – chiamiamola ancora così – della scelta di non fermare il campionato possa essere una delle tante ragioni volte a sottolineare le vergogne di un sistema in macerie. E però da qui a pensare che, concretamente, fermare il campionato sarebbe bastato per qualificarsi, beh, ce ne passa. Crederlo equivale, più o meno, a credere al ciuccio che vola.

Gli argomenti addotti da diverse firme dell’opinionismo e del giornalismo sportivo a sostegno di questa tesi possono essere ridotti essenzialmente a due. Il primo: Mancini, con lo stop del campionato, avrebbe potuto «cementare meglio il gruppo», ricreando il “clima” di qualche mese fa. Come se l’Italia avesse davvero vinto l’Europeo, questa estate, semplicemente perché Lorenzino da Frattamaggiore e Ciruccio da Torre Annunziata mettevano la canzone delle polpette e delle cotolette in palestra. Simpatico, divertente, ci abbiamo scherzato tutti. Ma la situazione – come ha scritto il grande Sorrentino nel copione de “il Divo” – era un po’ più complessa di così. Qualcun altro – scriviamo pure Lele Adani, senza problemi – è arrivato a dire che la Lega, concedendogli del tempo, avrebbe potuto aiutare il Mancio a risolvere il problema dell’Italia, ovvero la conclusione, il tiro in porta. È il secondo argomento. Adani ha posto un tema tecnico, dunque, non politico. L’ex difensore romagnolo ha detto che «anche Immobile, Insigne e Berardi avrebbero potuto – in questi giorni extra – calciare verso la porta, a fine allenamento, finché il piede non gli faceva male, come facevano Batistuta e Vieri». Se l’avessero fatto, «le cose magari sarebbero andate meglio». Traduzione: Immobile, 32 anni, più di 250 gol in carriera, in Nazionale segna poco perché in porta non sa tirare. Dovrebbe reimpararlo. O quantomeno dovrebbe allenarsi di più, giocando tipo a freccette. E sarebbe migliorato in due tre giorni, tra l’altro. Ci pare – ci perdoni – un discorso che proprio non fila.

Il punto è che fermare il campionato, in extremis, per tentare disperatamente di non saltare il secondo Mondiale di fila, sarebbe stata un’italianata in purezza. L’ennesimo tentativo di improvvisare una soluzione, evitando sistematicamente la pianificazione, la programmazione. Senza scadere nel benaltrismo, basti dire che procedere a questo stop non avrebbe ridato dignità ai settori giovanili, non avrebbe migliorato una rete di infrastrutture fatiscente, non avrebbe dato il via a un ripensamento complessivo delle istituzioni del calcio italiano, un club di impresentabili che fa finta di nulla sia di fronte alla deriva culturale a cui s’assiste ogni domenica negli stadi sia di fronte alle frodi a bilancio che le società organizzano per autoconservarsi. E per finire, non avrebbe nemmeno permesso a Jorginho di ri-calciare due rigori che avevano ben instradato l’Italia, anche sul campo, a un destino che appariva, da tempo, segnato.

In realtà, forse, concedere questi giorni di lavoro in più a Mancini sarebbe stato, per il calcio italiano, semplicemente un ulteriore modo di lavarsi la faccia. Magari nella vana speranza che il nostro cittì – che ha sbagliato delle scelte, ma che non è il principale responsabile di questo fallimento, almeno a giudizio di chi scrive – riuscisse, come ha fatto questa estate, a nascondere sul campo i limiti endemici del nostro sistema, che stanno principalmente ben oltre il campo. In pratica, nella speranza che facesse un miracolo. Oppure, semmai, nell’amara consolazione di poter dire, a sconfitta maturata e salute brindata, che non si poteva fare di più. Che s’erano concessi perfino i giorni d’allenamento richiesti. E allora, da una parte, viene da dire che tanto vale non averglielo dato, a questi signori, l’ennesimo alibi. Tanto di fatti non sarebbe cambiato nulla.

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