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Senza spazi verdi, il calcio muore. Non è questione di videogame

In Germania non c’è bisogno di FIFA22 per tornare a diffondere interesse tra i ragazzini. È pieno di campi di calcio gratuiti e liberi

Senza spazi verdi, il calcio muore. Non è questione di videogame

Vorrei prendere spunto dai pezzi di Silvestri e Valdarno per contribuire con un punto di vista diverso sulla questione del presunto scemare di interesse per il calcio, specie da parte delle nuove generazioni. A tal proposito vorrei portare la mia esperienza ormai pluriennale in Germania.

Partirei dalle basi più banali prima di considerare magliette e videogame: il calcio è un gioco ed esiste solo se lo si pratica. Punto.

A Berlino, dove vivo, uscendo di casa e procedendo sulla sinistra, si trova un campo di mini-calcetto a duecento metri; procedendo invece sulla destra se ne incontra uno di calciotto a centocinquanta. Comunali, gratuiti e liberi. E utilizzati spessissimo: specie nel finesettimana, ci ritrovi bambini, adolescenti, non di rado papà che giocano a pallone con i figli e gli amici dei figli. Cosa importante: trovi moltissime ragazze che giocano a calcio. Mentre in Italia si perdeva il solito tempo infinito nella rincorsa a dire per primi la propria sulla presunta inadeguatezza di questo sport femminile, in Germania lo praticavano. Si sa, i tedeschi parlano generalmente meno. Sono più introversi.

Dimenticavo di premettere – prima che si inalberino in tanti, come di consueto – che io non sono né un focoso esterofilo né un amante assoluto e fedele dei tedeschi. Ho vissuto in un numero sufficiente di paesi di questo continente per non amarne nessuno e sentirmi esclusivamente europeo. Le storie nazionali mi annoiano moltissimo. Ciò detto, la lista di cose su cui prendere lezioni dalla Germania è, di questi tempi, quasi illimitata e chi sostiene acriticamente il contrario, generalmente, non sa di cosa parla o non si è mosso di casa.

Tornando al tema: in Germania le strutture dove giocare al calcio sono numerosissime, aperte al pubblico, facilmente accessibili. Non mancano i bulletti grandi e piccoli di quartiere, ma difficilmente si trovano i due o tre che colonizzano il parco giochi con i soliti soprusi adolescenziali. In Germania anzi le strutture sono tali e tante che c’è da chiedersi come sia possibile che questa nazione non vinca puntualmente tutte le competizioni – ma sarebbe un altro discorso. Per tornare a diffondere interesse per il calcio non bisogna attendere FIFA22 (e anche qui, in terra teutonica, ci sono i videogiochi, ovviamente): bisognava piuttosto capire già qualche decennio fa che se non esistono spazi verdi, o luoghi comuni dove poter toccare la palla, il gioco stesso muore. Molto semplicemente. E la nostra smania di virtuale altro non è che il sintomo di una vita reale frustrante ed insoddisfacente.

Secondo punto: le scuole calcio. Esistono anche a Berlino. Organizzate come club. Anche a queste latitudini trovo la fauna umana che amo evitare e con la quale la pandemia mi ha permesso felicemente di non interagire per mesi – la mamma fresca di cosmetici che conduce il cagnolino al guinzaglio, il papà con la polo col bavero alzato e il capello biondo in vista, il genitore che si sente Klopp. Il punto è che le scuole sono molte, anch’esse accessibili ed organizzate come club in cui il calcio si vive: c’è la affiliazione con un club maggiore o con altre squadre internazionali; bar e ristoranti dove incontrarsi e vedere le partite. Le scuole hanno tutte più di un campo regolamentare in erba ed i ragazzi ci giocano a quasi ogni età, anche d’inverno – che di solito è di una ventina di gradi più freddo di quello napoletano.

Uno degli effetti visibili di questo contesto lo osservo in mio figlio: a nove anni pensa quasi solo al calcio. Non conosce highlights, solo partite intere. Ed io, per inciso, non sono un genitore integralista né sul calcio né sulla passione per il Napoli. Sono di quelli che se tifassero Juventus opporrebbe un pigrissimo disinteresse. Ciononostante, mio figlio e i suoi amici vedrebbero partite tutta la giornata. Uno dei suoi amici, l’altro giorno, alla partitella alla scuola calcio indossava la 10 argentina di Maradona, non avendolo evidentemente mai visto dal vivo in tv. La connessione mentale che i ragazzi fanno pone radici nella vita reale: seguono perché giocano ed il gioco non è confinato alle ore di scuola calcio, a contatto con la perniciosità dei genitori – piuttosto è legato al tempo di ricreazione – quando ci si diverte, non si studia e, soprattutto, sono soli. Il calcio li rende autonomi.

C’è poi un ultimo aspetto molto sottovalutato. Che sembra poco connesso al discorso, ma solo in apparenza. L’altro giorno, nella classe di una delle mie figlie, l’equivalente di una prima media italiana, due ragazzi sono stati sospesi dalle lezioni per aver fatto, per scherzo, il saluto hitleriano alla classe durante la ricreazione. Così, su due piedi.

In Germania è così. Si comincia con serietà da piccoli, mentre gli altri ti prendono per il culo che hai i sandali con i calzini. Poi finisce che hai DAZN che si vede e gli stadi pieni anche nel duemilaventidue.

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