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Dietro la pallata lunga per Osimhen c’è l’intelligenza tattica del Napoli

Uno dei tanti benefici del ritorno al Napoli liquido, sa fare più cose. Ovviamente la pallata non è l’unica opzione possibile. L’influenza di Anguissa su Fabian e Zielinski

Dietro la pallata lunga per Osimhen c’è l’intelligenza tattica del Napoli
Mg Genova 23/09/2021 - campionato di calcio serie A / Sampdoria-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Victor Osimhen

La forza e l’unicità della Sampdoria

L’intervista di Spalletti a Dazn nel postpartita di Sampdoria-Napoli è un manifesto, o meglio un’analisi tattica espressa, fatta al momento. Un’analisi del suo Napoli, della squadra avversaria. Le parole più interessanti sono state: «La Sampdoria è stata molto brava nel primo tempo perché ci è montata addosso subito, e così qualsiasi pallata dopo la linea della metà campo diventava una situazione importante. Osimhen va forte e questa è una giocata che bisogna sapere riconoscere. Così l’abbiamo indirizzata sulle qualità individuali. La migliore cosa è stata metterci dietro di loro».

In questa disamina c’è tutto: c’è l’atteggiamento del Napoli, c’è il racconto di come il Napoli abbia dovuto adattarsi – da squadra tornata liquida – al contesto pur senza smarrire o dimenticare alcune doti peculiari. C’è anche una giusta, meritata manifestazione di rispetto nei confronti di un avversario che ha poco a che vedere con la Serie A, per forza, intensità, stile di gioco. La Sampdoria è una squadra unica nel e per il nostro campionato: già con Ranieri aveva mostrato un calcio essenziale ma non elementare, fisico e diretto e verticale, difficile da contenere per chiunque. La scelta di prendere D’Aversa come successore di Ranieri ha rispettato, se non accentuato, tutte queste caratteristiche.

Per far capire cosa intendiamo, ecco qualche dato: la squadra blucerchiata ha tenuto il proprio baricentro più in alto rispetto al Napoli, sia in fase attiva che in fase passiva; ha tenuto il possesso più nella metà campo avversaria (51%) che nella propria; ha effettuato 63 lanci lunghi su un totale di 382 passaggi. In media, dunque, la Samp ha lanciato un pallone in avanti – soprattutto verso la trequarti offensiva – ogni sei passaggi. L’obiettivo di questo calcio, come spiegato da Spalletti, è «montare addosso» alla squadra avversaria. Traduzione: per generare situazioni di uno contro uno (perfette per Damsgaard e Candreva); per trovare gli spazi migliori più congeniali a due attaccanti come Quagliarella e Caputo, bravissimi a coordinarsi per il tiro in mille modi diversi.

Le risposte di Spalletti

Per provare a rispondere a un gioco così ortodosso, Spalletti ha deciso di impostare un piano partita d’attesa ma non speculativo. Cioè, non ha preteso che il Napoli controllasse la gara a modo suo, ma rispondesse a intensità con intensità, e poi ripartisse sfruttando gli scompensi del sistema di D’Aversa. Ovvero, le già citate «pallate dopo la linea della metà campo» per azionare Victor Osimhen. Per fare tutto questo, ha disegnato una squadra lineare nel suo 4-3-3/4-5-1 d’ordinanza, col solo Zielinski in una posizione un po’ più ibrida, quasi da cuneo tra 4-3-3 e 4-2-3-1 in fase offensiva. Dietro, come detto, l’idea è stata quella di aspettare la Samp con due blocchi bassi e sfruttare poi Osimhen in campo aperto.

In alto, il 4-3-3 puro del Napoli in fase offensiva; sopra, invece, il 4-5-1 in fase passiva.

Non a caso, anche il Napoli ha fatto registrare un’alta quota di passaggi lunghi: sono stati 61, più di un terzo rispetto alla media stagionale (44). Significa che la squadra di Spalletti è stata indottrinata a giocare in un certo modo, ad applicare certi principi. Questo non vuol dire, però, che abbia completamente rinunciato a essere aggressiva in fase passiva e/o a costruire il gioco da dietro, ma il punto è proprio questo: quando si parla di calcio liquido, si intende la capacità di adattarsi al contesto senza cancellare alcuni riferimenti di base. Proprio come fa un liquido quando viene inserito in un recipiente.

Nel caso di Sampdoria-Napoli, Spalletti e i suoi uomini hanno accettato di non poter tenere bassi i ritmi esasperando il possesso – il tentativo fatto a Leicester, per esempio – e di dover concedere qualcosa agli avversari, soprattutto agli esterni (Candreva ha cercato per 6 volte la conclusione verso la porta di Ospina). Ma l’hanno fatto per potersi assicurare la possibilità di ripartire, di sfruttare il gioco in transizione.

Basta rivedere le prime due occasioni della partita degli azzurri, capitate entrambe a Osimhen, per capire cosa intendiamo: nella prima, Insigne sembra spazzare via il pallone senza un’idea precisa, e probabilmente è così, ma basta la sola e semplice presenza dell’attaccante nigeriano per indurre Yoshida all’errore e spalancare la strada verso la porta; pochi minuti dopo, Ospina esce in presa alta e lancia subito verso Osimhen: duello aereo perso, pressione furiosa, recupero palla. Nasce così l’azione del vantaggio.

Ecco quanto si rischia nel creare situazioni di parità numerica quando c’è Osimhen

Tra il primo e il secondo gol, quindi per tutta la parte centrale del primo tempo, il Napoli ha sofferto la pressione della Sampdoria. È questo il momento a cui Spalletti si riferisce quando dice che «abbiamo fatto benissimo a metterci dietro». In una situazione del genere, del resto, il Napoli ha poche alternative: l’impostazione del piano-partita e le scelte di formazione (Lozano sull’out destro, soprattutto) rendevano difficile il consolidamento del possesso come arma difensiva. Spalletti, insomma, ha deciso di sacrificare il controllo della partita, e di concedere qualche occasione, pur di mettersi nelle migliori condizioni possibili per vincere.

I dati confermano tutte queste sensazioni: tra il 18esimo e il 42esimo, la Sampdoria ha tenuto di più il pallone (51%), ha tirato di più (7-3) e ha anche vinto più contrasti (7-4) rispetto agli azzurri. Se scorporiamo il dato dei tiri, ci rendiamo conto che esattamente in questo periodo sono stati scoccati 4 dei 5 tiri in porta della Sampdoria. Insomma, è stata un’ondata che il Napoli di Spalletti ha deciso di contenere rintanandosi dietro e cercando di ripartire in velocità. È come se avesse lasciato sfogare la Sampdoria, fino a che la squadra di D’Aversa non ha perso le distanze, perché inevitabilmente provata dalla fatica. A quel punto è arrivato il secondo gol, che di fatto ha chiuso la partita.

Il gol nasce da un altro lancio lungo di Ospina. Si noti come arrivi dopo un’azione di possesso che ha “invitato” al pressing sei giocatori di movimento della Sampdoria, tutti nella metà campo del Napoli.

È stata una scelta rischiosa, che però ha pagato i suoi dividendi. Per merito di Ospina, che ha compiuto le sue uniche parate vere in quel frangente, ma è stato davvero eccezionale – soprattutto sul tiro dal limite di Adrien Silva. Per merito della difesa, che ha saputo compattarsi e rimanere concentrata. E poi anche per merito di Insigne e Lozano, sempre puntuali nelle loro coperture sugli esterni – fondamentali per supportare i terzini nel due contro due con Bereszynski, Augello, Candreva e Damsgaard, mentre i centrali erano impegnati nella marcatura di Quagliarella e Caputo.

Appena il pressing della Sampdoria ha perso le distanze, come si vede dal video sopra, il gioco verticale del Napoli ha trovato nuovi sbocchi. Nella ripresa, come confessato dallo stesso Spalletti, il passaggio stabile al doble pivote ha dato ulteriore sicurezza alla squadra azzurra (rossa) in fase di palleggio. Complice anche la stanchezza degli avversari, sono arrivati i due gol che hanno fissato il risultato e messo fine alla vera partita.

Lozano e Anguissa

In un contesto del genere, la scelta di inserire Lozano è stata perfetta. Il messicano, con i suoi scatti continui e la sua capacità di allargare e allungare il campo, ha messo in grande difficoltà la Sampdoria. Non a caso, tre dei quattro gol del Napoli sono arrivati da altrettanti spunti sulla destra: dopo il primo ha trovato Insigne a centro area, un attimo prima dello scarico per Fabián Ruiz; nella ripresa, sono arrivate le due percussioni che hanno portato alle reti di Osimhen e Zielinski. Due assist diretti che impreziosiscono una prestazione super, in quelle porzioni di campo aperte dal gioco ipercinetico e offensivo della Sampdoria. Ecco di cosa parlava Spalletti quando ha spiegato di aver indirizzato la partita «sulle qualità individuali».

In alto, il video del secondo gol di Osimhen, quindi anche del primo assist di Lozano, velocissimo nel puntare Augello e trovare il nigeriano a centro area; sopra, invece, tutti i palloni giocati dall’esterno messicano. Per la serie: cosa vuol dire allargare il campo.

L’altra presenza determinante perché la squadra di Spalletti potesse giocare preparare e giocare questo tipo di partita, e perché potesse tenere un certo rendimento, è stata quella di Frank Anguissa. Il centrocampista camerunese ha ribaltato completamente il sistema di gioco del Napoli grazie a una caratteristica che da tempo mancava nell’organico azzurro, o che comunque veniva messa in secondo piano dalle idee dei vari allenatori che si sono alternati in panchina: il dinamismo, unito a una certa pulizia tecnica.

Proviamo a spiegarci: Anguissa è un calciatore in grado di correre per 90 e più minuti mantenendo alta la propria intensità, senza perdere mai ritmo e concentrazione. Non a caso, con i suoi 11,06 km percorsi, è l’elemento che ha coperto la maggior distanza in campo nel corso di Sampdoria-Napoli. Il discorso, però, è molto meno semplicistico: Anguissa non solo corre tanto, ma corre anche bene e dappertutto, perché Spalletti – a differenza, per esempio, di quanto faceva Sarri con Allan – gli garantisce grande libertà di associazione e lettura del gioco, si fida (già) delle sue intuizioni, del suo senso della posizione, della sua capacità di contrastare con l’avversario di turno e poi di scegliere la soluzione migliore per far ripartire l’azione del Napoli – che sia uno strappo palla al piede, a Genova ne ha fatti tanti, oppure un passaggio ravvicinato.

Dal basso verso l’alto: tutti i palloni giocati d Anguissa; quelli giocati  d Fabián Ruiz; quelli giocati da Zielinski. Perché li abbiamo messi in fila? Per mostrare come il centrocampo a tre del Napoli sia un reparto estremamente fluido, in cui tutti si muovono in tutte le direzioni, si disimpegnano in tutte le posizioni.

Come si vede chiaramente da queste tre immagini, l’influenza di Anguissa sul gioco dei suoi compagni di reparto, e quindi sul Napoli, è enorme. È come se il suo modo di stare in campo avesse contagiato anche Fabián Ruiz e Zielinski – oppure Elmas, titolare pochi giorni fa contro l’Udinese. Ovviamente la situazione va letta in un altro modo: con il suo rendimento eccellente in tutte le fasi di gioco, Anguissa “libera” chi gioca accanto a lui, rende fluidi i posizionamenti in campo, quindi fa adattare il Napoli al piano-partita.

Se Fabían Ruiz sembra sempre a suo agio nel ruolo di pivote davanti alla difesa, fino al punto di aver toccato 108 palloni e di aver tenuto una precisione degli appoggi pari al 94,3% (una percentuale enorme, considerando che 10 di questi sono anche passaggi lunghi), è perché Anguissa recupera e poi pulisce il possesso in tutte le zone del campo con la stessa efficacia; se Zielinski – esattamente come Elmas a Udine – può muoversi e fare da stantuffo tra 4-3-3 e 4-2-3-1, il merito è di Anguissa che garantisce equilibrio in entrambe le situazioni.

Quando rientreranno Demme e Lobotka, poi, le alternative saranno ancora più ampie e variegate: con Anguissa e il tedesco davanti alla difesa è possibile immaginare un Napoli iper-verticale, che gioca sugli strappi del trio Lozano-Ounas-Insigne alle spalle di Osimhen; con Lobotka nel ruolo di pivote, invece, Spalletti potrebbe rovesciare il triangolo e preparare una o più partite esasperando il possesso palla. Anguissa è molto affidabile anche da questo punto di vista: a Genova ha toccato 64 palloni e ha fatto registrare la più alta percentuale di accuratezza nei passaggi: 95,7%. Un dato incredibile.

Osimhen

L’intera analisi sul Napoli liquido e verticale deve tener conto dell’importanza di Victor Osimhen. Non tanto e non solo come terminale offensivo, ma perché è lui a determinare in maniera totale il sistema di gioco in cui è immerso. Per dirla in breve: se la squadra di Spalletti può permettersi – e si è permessa – un certo atteggiamento, a Genova come in altre partite, il merito è del lavoro che fa Osimhen nell’allungare e allargare la difesa avversaria. La frase del tecnico toscano sulla «pallata dopo la linea della metà campo» che «diventa una situazione importante» ha senso perché c’è Osimhen che, secondo i dati della Lega Serie A, corre per 8 km e riesce subisce pressione dagli avversari per il 63% del suo tempo di gioco.

Tutti i palloni giocati da Osimhen. Tanti sulle fasce, tanti anche a centrocampo: subito dopo aver accorciato la squadra e subito prima dell’ennesimo attacco della profondità.

Se il Napoli visto a Genova è una squadra che ha saputo/potuto rispondere all’intensità della Samp con la sua stessa intensità, è perché c’è Osimhen che tocca il pallone come vedete nella mappa appena sopra. È lui che accorcia e poi allunga subito la squadra. È lui che si allarga per tirare fuori i centrali avversari e creare spazi per i compagni, ovvero una definizione un po’ più completa del fare reparto da solo. Ed è sempre lui che ha ancora la forza per attaccare la porta a ogni cross che arriva dall’esterno. Che va sempre a duellare con gli avversari su ogni lancio lungo. Insomma, ci sta che poi possa sbagliare alcune – non tutte, anzi – occasioni a tu per tu con il portiere. Anche i gol che non realizza personalmente dipendono da quel che fa, da come sta. Solo che c’è una differenza rispetto al passato, alla scorsa stagione.

A Genova, Luciano Spalletti non ha scelto di giocare in un certo modo – verticale e diretto appena possibile – per ideologia. Ma perché nel Napoli ci sono Osimhen, e Anguissa, e quindi di conseguenza un certo Fabián Ruiz, un certo Zielinski. Certo, nel Napoli ci sono e ci saranno alcuni giocatori che amano un altro tipo di calcio, ma che hanno la qualità per eccellere anche in questo contesto. In casa della Sampdoria, per esempio, Lorenzo Insigne ha servito due assist decisivi di grande qualità. Magari Lorenzo non è e non sarà più centrale come in passato nella regia offensiva, ma il Napoli continua a costruire gioco dal suo lato quando riparte dal basso: la squadra di Spalletti ha sviluppato il 41% delle sue azioni a sinistra e Insigne ha toccato 49 volte il pallone. E 5 di questi 49 tocchi sono stati un passaggio chiave.

Conclusioni

Succederà la stessa cosa con Mertens quando rientrerà. È già successa con Mário Rui, Politano, Koulibaly e anche con Ospina, con tutti quei calciatori che preferiscono un calcio di possesso. Ora quel possesso esiste, ma è solo una parte del gioco del Napoli. È una parte importante del sistema, ma non è l’unica con cui si attacca, con cui si risale il campo verso la metà campo avversaria.

Anche il gioco del lancio-a-Osimhen ha cambiato forma e prospettiva: mentre a un certo punto della scorsa stagione era diventata l’unica opzione possibile – ma sempre e solo dopo aver costruito dal basso ed essere passati dalle catene laterali –, oggi è una soluzione tattica adottata con frequenza alterna. Si manifesta in base a quello che succede in campo. A quello che si è preparato in allenamento per la partita in questione. A Genova ha funzionato benissimo, ma nello stesso stadio, solo pochi giorni fa, il Napoli ha vinto senza Osimhen. Con Insigne prima punta. Quindi con un piano-partita completamente e inevitabilmente diverso. È questa la nuova forza del Napoli. È questa la vera forza della squadra e di Spalletti.

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