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Non è la vittoria del gioco di squadra, è che loro sono francesi

Gliene avrebbero potuto segnare sette alla Svizzera se solo non si fossero rimirati nella loro bellezza. E così oggi trionfa la retorica del collettivismo

Non è la vittoria del gioco di squadra, è che loro sono francesi
Bucarest (Romania) 28/06/2021 - Euro 2020 / Francia-Svizzera / foto Uefa/Image Sport nella foto: Kylian Mbappe

Visto il rigore di Mbappé si stampi. Pezzi in microonde, scongelati e messi in pagina. Opinionismi pronti all’uso: hai visto la Francia? Il calcio è uno sport di squadra, coi singoli campioni non si vince. Il collettivo, signora mia. Il gruppo. Qualcuno – Sconcerti – ci ha agganciato il nazionalismo delle nazionali:

C’è nella Francia una confusione di lingue tecniche come fosse una grande Babele. È una nazionale estirpata dal proprio territorio”.

Vuoi mettere l’Italia di Mancini? Un sol uomo, un Leviatano del pallone, che Hobbes ci perdoni. Poi non riescono a decidere se inginocchiarsi e in solidarietà con chi, ma questo è un altro discorso. Oggi è il Natale dell’anti-Francia, il giorno in cui il mondo può rinfacciare agli sciovinisti le peggio cose. Dalla baguette sott’ascellare al ratto della Monna Lisa. Compresa questa lezioncina di sport di base: si vince assieme si perde da soli. Non era proprio così, ma è il punto dei collettivisti. I Sacchiani. Il trionfo del “che te ne fai di Mbappé-Benzema-Griezmann-Pogba-Coman-EccEcc se li fai giocare come gli scugnizzi in piazza la domenica mattina?”. La tattica, i legacci, le istruzioni. L’organizzazione. Tutto giusto, tutto vero. Ma poi…

Poi c’è questa sensazione retroattiva, retrattile: non è che i francesi hanno perso (ai rigori, che sono per cliché “una lotteria”) perché sono francesi? Vittime della grandeur. Pieni di sé, boriosi. Presuntuosi, nella fattispecie convinti di poter in ogni momento della partita fare un sol boccone degli avversari. Campioni con colpi fuori scala, consapevoli d’abitare un altro pianeta. Che per noia, o inerzia, si sono suicidati.

Prendiamo solo due minuti dei 120 che la Francia ha usato per rinnovare il concetto di masochismo: Dal 57′ al 59′. Benzema segna due gol. Il primo dei due è un monumento al bomber ignoto. Quello stop con la gamba di richiamo, strappando la palla alle logiche della fisica prima di buttarlo in rete un centesimo di secondo dopo, ecco quello è il manifesto della superiorità. Ma anche della perversione. Se avessero voluto, gliene avrebbero fatti sette di gol alla Svizzera. Il problema non è che sono “singoli”, individualisti.

E’ il giorno di gloria del collettivismo, e quindi zitti e buoni troviamo posto dalla parte del torto perché pure stavolta quelli dalla parte della ragione sono tutti presi. Ma è un torto che argomentiamo: nella confusione generale, nella sovrabbondanza di talento, nella ridondanza di superiorità sterile, la Francia ha comunque rigirato una partita in un paio di tocchi e qualche virtuosismo, passando dal possibile 0-2 della sveglia (il rigore parato a Rodriguez) al 3-1. Poi ha ripreso la pennichella. Perché “l’organizzazione, il collettivo, il gruppo, l’allenatore” certo. Ma anche e soprattutto perché si sono fatti blandire dal narcisismo. Si sono rimirati nella loro bellezza e la Svizzera gliene ha segnati tre. Emblematico il balletto di Pogba dopo il terzo gol. “A me i riflettori”. Poi, però, le luci si sono spente.

Sbattendosi il minimo sindacale, non sono passati ai quarti per un gol svizzero a tempo scaduto e un rigore sbagliato. Autoinfliggendosi un supplizio di critica strameritato (L’Equipe oggi ci va pesante, coi voti) e ricaricando l’ampollosità dei Sacchiani, dell’organizzazione come filosofia di vita prima che di gioco, dei maniaci del controllo.

In fondo la Francia poteva – doveva – fare solo uno sforzo ulteriore, un’occhiata allo specchio in meno, rimangiarsi gli sbadigli. Ma è più forte di loro. La sconfitta per manifesta superiorità è nel loro Dna.

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