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In Campania la zona rossa è un “pacco”: dopo un mese, i numeri del contagio sono gli stessi

L’assuefazione ai divieti ci ha resi immuni alla legge, e nessuno controlla. Risultato: il 9 marzo il tasso d’infezione era all’11,5%, ieri al 11,4%

In Campania la zona rossa è un “pacco”: dopo un mese, i numeri del contagio sono gli stessi

Ogni volta che la Campania cambia colore, online spuntano cartelli come funghi: “Ecco cosa si può fare in zona rossa”. Che poi sono sempre gli stessi divieti, ormai l’assuefazione ci ha resi immuni alla legge: il coprifuoco, il parrucchiere serrato, chiusi i negozi di abbigliamento per adulti, perché ai bambini venga almeno garantita la possibilità di cambiarsi d’abito. La scuola no, i giardini pubblici no, lo sport no. Ma se poi mi crescono d’una taglia in zona rossa che si fa? E dunque rieccoci: la Campania resta rossa. Embé? Una volta avremmo fibrillato, presi dall’ansia. Ora usciamo, a far tutto o forse più. Consapevoli che arancioni, gialli, bianchi, non cambia nulla. E’ un pantone senza significato. Lo dicono i numeri.

Da lunedì 8 marzo la Campania è in zona rossa. I bollettini della regione vanno sfogliati in velocità, la resa è quella di un cartone non-animato: il 9 marzo c’erano 2.709 positivi su 23 mila tamponi, il tasso tra contagiati e test era all’11,4%, 45 morti. Il 1 aprile, ieri, 2.258 positivi, tasso all’11,5%, 55 decessi. In mezzo una ventina di giorni in cui la statistica ha traballato impercettibilmente senza dare segnali evidenti di novità, in un senso o nell’altro. È una banalità: cosa è cambiato? Niente.

Perché nel frattempo è mutata, quella sì, la percezione del pericolo, e anche il rispetto dei legacci. Di tutte le voci vietate – che a rileggerle fanno anche un po’ tenerezza – la più stuprata è poi quella che racchiude tutto il senso della privazione a scopi sanitari, questa:

Sono vietati gli spostamenti, con qualunque mezzo di trasporto, da un comune all’altro e nello stesso comune tranne che per comprovate esigenze di salute, lavorative o di approvvigionamento; è sempre consentito il rientro al proprio domicilio o residenza

L’unica cosa “comprovata” ormai è che la gente – tutti, chi più chi meno – se ne fotte. Inelegante dirlo così, ma traduce bene il distacco formale, ostentato, che ha corrotto anche i più timorati: tutti fanno tutto, anche quando sarebbe opzionale. “Tanto chi ci ferma?”. Il che può fare di te una persona ignobile, ma nessuno te lo rinfaccerà mai. Non più i vicini che la primavera scorsa s’attaccavano al telefono per denunciare il bambino in cortile che gioca a pallone, non più il carabiniere di stanza nell’isola pedonale che osserva la corrente dei deambulanti senza autocertificazione. Ve la ricordate la commedia dell’autocertificazione?

C’è il traffico bloccato dei bei vecchi tempi, e non sorprende mica. A meno di non bersi la frottola che a movimentare un milione abbondante di napoletani fossero i negozi di abbigliamento. O i barbieri.

Se c’è una cosa su cui Vincenzo De Luca ha ragione è che non c’è ormai nemmeno più la parvenza dei controlli. Lo Stato ha abdicato. S’è scocciato esso stesso di questi meccanismi a scatto fisso, “ora puoi, ora non puoi”. Dopo un po’ – dopo mesi – non vale più niente. La zona rossa è una categoria dello spirito, ad essere ottimisti. A tratti una spinta evolutiva.

La gente s’è attrezzata a bere il caffè come i giocolieri, per esempio: una mano a tenere il bicchier d’acqua, un’altra col monouso e un’altra che spunta da chissà dove per “girare lo zucchero”. Ma che si resti fuori, perdinci. Sul marciapiede, con l’auto d’appoggio. Al bancone ti tagliano un arto, almeno uno dei tre. Il risultato è che a breve, dopo giorni di “vabbé tanto mo torniamo arancioni”, resteremo ancora rossi. Perché l’indice di contagiosità a circa 1,3 suggerisce all’organismo di monitoraggio del governo di lasciarci così, col bollino della gravità. La reazione è un riflesso vagale: sbadigli.

I 50 campani morti al giorno sono il prezzo che diamo per scontato, allarghiamo le braccia, quest’è. Quando l’inevitabilità prende il sopravvento non c’è colore che tenga: rossi siamo e rossi restiamo, senza arrossire nemmeno un po’. Tanto, che cambia?

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