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Enzo Bearzot: «Ho bisogno della mia solitudine, in Friuli siamo fatti così»

Ascoltava i dischi del jazz e fumava la pipa. «Ha ragione Liedholm: gli schemi sono belli, sono bellissimi in allenamento. Senza avversari riescono tutti”

Enzo Bearzot: «Ho bisogno della mia solitudine, in Friuli siamo fatti così»

Era un vecchio che ascoltava i dischi del jazz e fumava la pipa. Lo ricordo così il friulano Enzo Bearzot negli anni della sua vita serena dopo le tempeste del calcio, il linciaggio del 1982 e il titolo di campione del mondo.

Aveva giocato al calcio per diciott’anni, dal 1946 al 1964, mediano duro e legnoso, cominciando nel Pro Gorizia, passando poi all’Inter e al Catania per finire nove anni al Torino, la squadra che gli conquistò il cuore. Divene commissario tecnico della nazionale dal 1977 al 1986, quasi dieci anni,  40 vittorie, 26 pareggi, 22 sconfitte, campione del mondo in Spagna.

Era alto, spigoloso e spiritato, il viso lungo e un naso schiacciato da pugile, le mani nervose. Aveva un sorriso nervoso. Quando allenò la nazionale era vecchio non perché avesse molti anni, ne aveva cinquanta quando cominciò con la squadra azzurra, ma perché la sua faccia era segnata dalla fatica. S’era indurita prima del tempo e i capelli diventarono radi, ed ebbe una fronte rugosa. Dei vecchi aveva una dolcezza nel cuore che per pudore non mostrò mai.

Diceva: “Io ho bisogno della mia solitudine. Siamo fatti così in Friuli. Apparire non mi piace. Faccio cose semplici. Strimpello l’organo, raccolgo francobolli e statuette”.

Prese in mano la nazionale e disse: “All’estero erano andati avanti, ma il modello tattico olandese era troppo avanzato per le nostre caratteristiche. Pensai che il modello di riferimento iniziale potesse essere quello polacco, che era moderno ed efficace, ma meno spregiudicato di quello olandese”.

Disse anche che la sua nazionale era come un’orchestra jazz. Spiegò: “Il jazz è una musica che nasce dalla sofferenza, che deve essere eseguita con una intensa partecipazione emotiva, col cuore, con la grinta e con del tango”.

Partì con la nazionale per la Galizia inseguito dallo scetticismo generale fino all’insulto. “In Galizia faceva freddo. Fu salutare per prepararci e andammo più vigorosi nel caldo di Barcellona e Madrid. Ci chiudemmo a riccio contro tutti e questo rafforzò il gruppo e la voglia di smentire quelli che ci davano addosso. Ci liberammo della paura di tornare a casa prima del tempo come predissero che sarebbe accaduto”.

Il girone di qualificazione a Vigo, sulla costa atlantica nel nord ovest della Spagna, con Polonia, Camerun e Perù fu uno strazio. L’Italia non vinse una partita. Tre pareggi. E si qualificò davanti al Camerun per i gol (2-2 contro 1-1), mentre si parlò di una combine con i camerunesi per passare il turno. Lo scetticismo aumentò e il ridicolo si abbatté sulla nazionale italiana.

Alla vigilia della seconda fase ancora a gironi, l’Italia inserita nel gruppo con Argentina e Brasile, Enzo Bearzot confidò: “Ci andammo senza paura. Ci avessero battuti non sarebbe stato un disonore. Poi, con l’animo sgombro e una allegria e una sicurezza che crebbero giorno per giorno sorprendemmo tutti”.

Martedì 29 giugno 1982 contro l’Argentina di Maradona, Passarella, Bertoni, Ardiles, Kempes. Spacciati al piccolo Sarrià di Barcellona? Raccontò Bearzot: “Andammo tranquilli alla partita contro una banda di guerrieri con quel loro ragazzo dorato, il grande Diego. Erano i campioni del mondo. Avevano vinto in casa loro davanti a Olanda, Brasile e Italia”. Tardelli e Cabrini confezionarono la vittoria (2-1), Diego colpì un palo su calcio di punizione. Gentile gli morse le caviglie.

Lunedì 5 luglio, ancora al Sarrià, contro il Brasile di Falcao, Zico, Socrates, Junior, Cerezo. Non si avevano più notizie di Paolo Rossi, chiuso nell’azzurro tenebra di un Mondiale in cui non era ancora entrato. Paolo Rossi è morto, Paolo Rossi è risorto. Perchè fu Pablito a schiantare con tre gol lo squadrone brasiliano e Zoff fece una parata decisiva e indimenticabile sul 3-2 inchiodando sulla linea di porta il colpo di testa di Oscar. Il pareggio avrebbe eliminato l’Italia e fatto andare avanti il Brasile. Gentile, dopo avere marcato Maradona, marcò Zico.

Raccontò Bearzot: “Superata la Polonia in semifinale ancora con Rossi, due gol, andammo al dunque con i tedeschi, la finale con la Germania a Madrid. Ma ormai non ci avrebbe più fermato nessuno. Dissi ai ragazzi: la velocità è più importante della potenza e noi siamo più veloci di loro. Può darsi che vi riempiano di lividi, ma prima devono prendervi. Non ci presero”.

Tempo dopo, Enzo Bearzot tornò sui monti di Auronzo e poi andò al mare di Lignano per combattere gli acciacchi dell’età. E disse: “Non c’è più allegria nel calcio, la musica è finita, e tutti ce ne andiamo. Ma abbiamo fatto concerti magnifici, siamo stati una magnifica band. Oggi lo spartito è un altro, ci sono gli schemi. Ma ha ragione Liedholm: gli schemi sono belli, sono bellissimi in allenamento. Senza avversari riescono tutti”.

Enzo Bearzot, il mio vecchio con la pipa, ci ha lasciati un giorno di dicembre del 2010. Era nella sua casa milanese e aveva 83 anni.

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