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“Santo, eroe, rivoluzionario e lazzaro felice. Maradona seppe unire tutta Napoli”

Fabrizio d’Esposito sul Fatto. “Evento rarissimo in questa città di passioni manichee, monche di sfumature e zeppe di luoghi comuni. Maradona fu riscatto sociale e politico”

“Santo, eroe, rivoluzionario e lazzaro felice. Maradona seppe unire tutta Napoli”

Diego Armando Maradona divenne dio a Napoli, il paradiso abitato da diavoli secondo la lezione di don Benedetto Croce. Non sarebbe potuto accadere altrove, in alcuna parte del globo. E ora che il mito ha infilato il tunnel buio della morte, senza ritorno, El Pibe de Oro davvero vivrà per sempre”.

Lo scrive, sul Fatto, Fabrizio d’Esposito. Che ripercorre le tappe della storia di Maradona a Napoli, dal 30 giugno, giorno dell’annuncio del suo acquisto dal Barcellona per 13 miliardi e mezzo di lire, alla presentazione al San Paolo, il 5 luglio successivo, di fronte a 70mila spettatori.

“Napoli s’indovinò argentina e un argentino si riscoprì napoletano. Qui Maradona è stato santo, eroe, rivoluzionario e lazzaro felice. Masaniello e San Gennaro, i suoi predecessori più scontati da citare. E fu santo nonostante i peccati, gli eccessi con la droga e con le donne, l’amicizia con i camorristi della famiglia Giuliano. Era affamato di vita, fuori dal campo”.

Il suo rapporto con la cocaina era iniziato a Barcellona, ricorda d’Esposito. Che parla di Maradona come di chi fu capace di riunire tutte le anime di Napoli.

“Ché Diego sulla sua faccia aveva dipinto il pianeta della miseria, come vergò il maestro Mimì Rea. Epperò da leader politico seppe unire tutta la città, la borghesia e la plebe, gli onesti e i corrotti, i padroni e gli operai, gli ultrà e i professionisti seduti in tribuna, comunisti, democristiani e fascisti, senza distinzioni. Evento rarissimo in questa città di passioni manichee, monche di sfumature e zeppe di luoghi comuni. Segnò generazioni distanti e diverse e ancora oggi ci sono bimbi battezzati con il nome di Diego (è anche il caso di chi scrive)”.

E poi la rivalità con il Milan berlusconiano di Arrigo Sacchi e il vero nemico di Diego, la Juventus degli Agnelli.

In un calcio metafora e visione totalizzante della società, come sovente accade a Napoli, giusto o sbagliato che sia, Maradona fu riscatto sociale e politico. Appunto. Contro i bianconeri scolpì tre trionfi indimenticabili”.

d’Esposito li ricorda tutti e tre. E ricorda l’odio che tutta Italia nutrì per Maradona.

E Diego fu odiato in tutta Italia, da comandante di tifosi che quasi ovunque venivano “invitati” a lavarsi col fuoco della lava vesuviana. L’acme di questo odio esplose ai mondiali italiani del Novanta. Maradona fu insultato e fischiato sin dall’inizio, a Milano contro il Camerun. Disse: “Grazie a me i milanesi hanno smesso di essere razzisti e hanno tifato per gli africani”. La semifinale persa dall’Italia a Napoli con l’Argentina fece il resto. Complice la gigantesca fake news che lo stadio tifò per Diego contro la Nazionale azzurra”.

Con lui, il Napoli ha vinto due scudetti. Ferlaino lo costrinse a restare, poi arrivò l’addio, con la questione doping.

“La resa finale il 17 marzo 1991. Doping. Al termine di Napoli-Bari. Cupo epilogo al San Paolo. Era arrivato sette anni prima accolto come un salvatore. Andò via da solo, come un dio in fuga”.

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