ilNapolista

Se Gattuso ha scelto un certo tipo di gioco, deve sacrificare alcuni calciatori

Ha giocato con Mertens come se fosse Osimhen. Non si può pretendere il calcio verticale da chi ha dato il meglio di sé con un altro tipo di gioco

Se Gattuso ha scelto un certo tipo di gioco, deve sacrificare alcuni calciatori

La povertà tattica del Napoli

Al termine della partita contro il Bologna, nonostante la vittoria firmata da Osimhen, sul Napolista avevamo espresso delle perplessità sulla gara degli azzurri. L’analisi tattica della gara giocata al Dall’Ara si concludeva così: «In questo momento storico, la squadra di Gattuso non può essere identitaria. Deve poter e saper variare. Anche a costo di perdere alcune certezze tattiche, di non possedere il 100% di fluidità nel proprio gioco». Ribadiamo questi concetti, soprattutto alla luce di quanto è successo ieri sera al San Paolo, nella partita contro il Milan. I rossoneri hanno vinto meritatamente, prolungando il periodo interlocutorio del Napoli. Che, in questo momento, è una squadra in grado di rendere poco perché è tatticamente povera, limitata.

Certo, gli episodi contano tantissimo nel calcio: tutto cambia se Mertens batte Donnarumma dall’interno dell’area poco dopo il gol (splendido) di Ibrahimovic; se Di Lorenzo centra la porta piuttosto che la traversa; se Bakayoko non subisce un’espulsione ingenua e forse eccessiva, eccetera, eccetera. Potremmo andare avanti per ore. Ma resta il fatto che la squadra di Gattuso ha costruito un solo tiro in porta su azione manovrata fino al gol di Mertens, al 62esimo minuto. Poco dopo è arrivato il rosso per Bakayoko. Quindi si può dire, senza timore di essere smentiti, che gli azzurri abbiano perso la sfida tattica contro il Milan. Oltre che la partita, ovviamente. Vediamo come si è determinata questa (doppia) sconfitta.

Le scelte di Gattuso

Cominciamo dalla scelta degli uomini, dello schieramento in campo e dei principi di riferimento. Anche senza Osimhen, Gattuso ha deciso di confermare il 4-2-3-1/4-4-2 con Politano, Lozano, Mertens e Insigne in avanti. L’idea era quella di esasperare la ricerca della verticalità muovendo il pallone rasoterra, diversamente da quanto si può fare con Osimhen schierato da prima punta – il nigeriano garantisce una ricezione potenzialmente efficace anche in caso di passaggio alto.

Solo che al Napoli mancano difensori e centrocampisti in grado di far partire l’azione da dietro con meccanismi di qualità, cioè attraverso servizi bassi che tagliano le linee di pressione degli avversari. Un’assenza che si esaspera soprattutto nel momento in cui quegli stessi avversari sono molto aggressivi fin dal primo tocco del portiere o dei difensori, e puntano soprattutto su Koulibaly.

Lo stesso Fabián Ruiz, il centrocampista con maggior qualità nella rosa di Gattuso, ha sempre manifestato la sua incapacità quando deve essere il primo riferimento nell’uscita dalla difesa – ricordate lo scorso anno, quando Gattuso lo ha schierato come centromediano di un reparto a tre? Le sue difficoltà sono state evidenti anche contro il Milan: lo spagnolo è stato il giocatore che ha effettuato più passaggi tra tutti quelli che erano in campo (85), ma soprattutto nel primo tempo è apparso molto spaesato, soprattutto quando c’era da far progredire velocemente la manovra.

Il Milan si spacca in due tronconi pur di pressare alto sulla prima costruzione del Napoli. Ibrahimovic segue da vicino Koulibaly, mentre tutti gli altri uomini offensivi si alzano per braccare gli altri giocatori azzurri. Tutti, tranne Manolas: il pressing sul difensore greco iniziava solo al limite dell’area di rigore, perché la sua qualità in impostazione è inferiore rispetto a quella dei compagni.

Il Milan non ha fatto altro che fare il Milan. Gli è bastato, come detto, pressare alto per mettere in crisi la prima costruzione del Napoli. Dopo la rete del vantaggio, poi, gli è bastato ritrarsi e concedere le fasce agli avversai (70% di azioni costruite sulle due corsie, 23 cross tentati per cercare Mertens, Insigne, Lozano e Politano, tutti calciatori ben al di sotto dei 180 centimetri d’altezza) per limitare le loro velleità offensive. Infine, gli è bastato attendere che il Napoli portasse avanti molti giocatori per colpirli in ripartenza, dietro le spalle. È così che nasce il secondo gol dei rossoneri: Manolas forza la ricerca del gioco verticale, il suo lancio non è nemmeno sbagliato, anzi trova bene Di Lorenzo in proiezione offensiva; ma basta un errore di misura per attivare il contropiede che porta all’azione solitaria di Rebic, al cross per Ibra.

Anche in questa azione il Milan ha deciso di spaccarsi in due pur di rendere complicata la costruzione dal basso della difesa del Napoli. Manolas allora pesca bene Di Lorenzo in avanti, ma a loro volta anche gli azzurri sono spezzati in due. A quel punto, basta un buon pallone servito in verticale per tagliare completamente la difesa del Napoli.

Ecco, questo è il punto. Il Milan ha un’identità, è una squadra definita nei suoi pregi e nei suoi difetti, che lavora e gioca in un certo modo. Ha scelto e schiera in ogni partita i calciatori che servono per realizzare ciò che Pioli ha in mente. Il progetto tattico dei rossoneri è coerente con gli atleti che compongono la rosa. E che vanno in campo. Al Napoli manca questo tipo di armonia tra idee e realtà. Ed è mancata soprattutto ieri sera, quando Gattuso, come detto, ha scelto di disegnare una squadra incapace grado di attuare i meccanismi che, almeno in teoria, avrebbero dovuto regolare il suo stesso sistema tattico.

Cosa è mancato al Napoli?

La risposta a questa domanda potrebbe essere individuata ed espressa in maniera molto semplice. Insomma, basterebbe dire: è mancato Victor Osimhen. Con il nigeriano al posto di Mertens, il progetto tattico di Gattuso – ovvero attaccare in verticale allungando il campo – avrebbe avuto più possibilità di risultare efficace. Certo, l’ex centravanti del Lille avrebbe dovuto offrire una buona prestazione perché il Napoli riuscisse a vincere la gara. Nel calcio, le intenzioni e le intuizioni non bastano.

Ma anche la sola e semplice presenza di Osimhen – esattamente come succede per Ibrahimovic nel Milan, per Ronaldo nella Juventus, per Lukaku nell’Inter, insomma per tutti gli attaccanti-franchigia in Serie A – avrebbe moltiplicato le possibilità a disposizione dei suoi compagni. Come detto, si sarebbe attivata la possibilità di lanciare il pallone alto, quindi di bypassare il primo pressing del Milan. Ma è anche una questione di occupazione e di attacco degli spazi, come spiegano queste immagini che mostriamo sotto.

In alto, c’è la mappa di tutti i palloni giocati da Osimhen nella gara contro l’Atalanta; in basso c’è quella di Mertens nella gara contro il Milan.

Le differenze sono sottili ma enormi: Mertens, è evidente, ama gravitare soprattutto nella zona del centrosinistra; Osimhen, invece, riceve il pallone su tutto il fronte d’attacco, indifferentemente a destra o a sinistra. In questi grafici non è riportata la tipologia di movimenti fatti per allungare/accorciare la squadra, non viene specificato se questi palloni giocati siano frutto di un duello aereo, oppure di una sponda di prima. Ma noi conosciamo le tendenze e la fisicità di Mertens e Osimhen, sappiamo quanto sono diversi. Eppure, nonostante questa distanza antropometrica e tattica, Gattuso ha pensato di presentare un Napoli con Mertens nello slot di prima punta, senza però modificare i principi di gioco verticale che ormai da mesi caratterizzano la sua squadra.

In questa condizione, Mertens non poteva essere determinante. E non lo è stato, se non in alcuni momenti isolati – il tiro deviato da Donnarumma nel primo tempo, ovviamente il gol segnato nella ripresa. Tatticamente, però, il contributo del belga è stato nullo. Ha creato pochissimo a livello offensivo: un solo passaggio chiave, un solo dribbling riuscito.

Il discorso sull’attaccante belga vale anche per altri suoi compagni, primo tra tutti Insigne: il Napoli di quest’anno è una squadra che sta provando a essere più rapida e quindi – inevitabilmente – meno complessa in fase offensiva. Se da sette anni a questa parte, Insigne e Mertens (ma a questo gruppo appartiene anche Mário Rui, per esempio) hanno dimostrato di poter essere determinanti in un sistema codificato e sofisticato, orientato al possesso ricercato, non ha molto senso inserirli in schemi spiccatamente verticali. Soprattutto quando gli avversari giocano in maniera simile. Soprattutto quando manca Osimhen: l’attaccante che, con i suoi movimenti, permette al Napoli di essere efficace con questo tipo di calcio.

Il gol di Mertens

Come abbiamo visto nel video sopra, il gol di Mertens nasce con un’azione che sarebbe stata peculiare per il Napoli del passato. Nella parte iniziale dell’azione, Mertens fa una cosa che Osimhen non farebbe mai: retrocede a centrocampo per legare i reparti, in pratica si muove da attaccante associativo, da regista offensivo. Poi ecco il possesso insistito, il cambio di campo sul lato debole, il cross ribattuto, la riaggressione immediata e il gioco a due sulla fascia sinistra. Mertens, a quel punto, è andato a riempire l’area di rigore con la sua proverbiale rapidità d’esecuzione.

Tornare indietro?

Questa azione da vecchio Napoli spiega come dovrebbero/potrebbero essere impiegati alcuni giocatori di questa squadra perché possano rendere al massimo. Sono i giocatori che abbiamo citato prima: Mertens, Insigne, Mário Rui. La domanda è: tornare indietro a quei giorni, a quei principi di gioco, sarebbe stata una scelta efficace per la gara contro il Milan? Non lo sapremo mai, perché non avremo mai la risposta e la controprova. Ma resta il fatto che praticare un calcio verticale senza Osimhen ha finito per rendere inoffensivi Mertens e Insigne, la cui presenza ha peggiorato il contesto anche per Lozano – un calciatore potenzialmente adatto a interpretare questi principi, ma penalizzato dall’incapacità del Napoli di allungare il campo.

Partendo da qui, siamo noi a tornare indietro, all’inizio della nostra analisi: contro il Milan, il Napoli ha mostrato per l’ennesima volta di non poter essere una squadra identitaria. Contro Le contingenze avrebbero dovuto spingere Gattuso a varare un sistema diverso, a insistere su un possesso meno frenetico, più ricercato. Così da mandare a vuoto il pressing del Milan, l’arma più pericolosa degli avversari di giornata.

E invece il Napoli ha gestito il pallone per larghissimi tratti della partita (il dato percentuale al 90esimo dice 62% per la squadra di Gattuso), ma ha cercato comunque un certo numero di lanci lunghi: uno ogni 17 passaggi, praticamente la stessa media tenuta nell’ultima gara casalinga contro il Sassuolo (un lancio lungo ogni 18,08 passaggi). Solo che con i neroverdi c’era Osimhen in campo dall’inizio. In entrambe le partite, il Napoli ha affrontato due squadre in grado di chiudere benissimo gli spazi in fase passiva, senza però schiacciare la linea difensiva dentro l’area di rigore (i rossoneri hanno tenuto il baricentro a 45 metri con il Napoli in possesso di palla, solo 4 metri più in basso rispetto agli azzurri).

In questa fase di difesa posizionale, il Milan copre tutti gli spazi ma non retrocede dentro l’area di rigore

Conclusioni

Dopo il trionfo contro l’Atalanta, il Napoli ha segnato sette volte in sette partite. Ne ha perse tre e ne ha vinte quattro, e tutti i successi sono arrivati con un solo gol di scarto. È evidente che la squadra di Gattuso stia vivendo un calo di brillantezza, ma il punto è che questo calo pare essere anche un calo di idee. Ovvero: da quando il tecnico calabrese ha varato il 4-2-3-1/4-4-2 e ha deciso di attaccare seguendo tracce verticali, la sua squadra non ha più cambiato volto. Solo a San Sebastián, contro la Real Sociedad, il Napoli ha impostato un piano-partita diverso, più conservativo, diciamo anche speculativo rispetto alle qualità degli avversari – bravissimi nella gestione del possesso, e nella prima costruzione.

Il punto è che il Napoli 2020/21 non possiede una rosa omogenea come quella del Milan, o come quella delle ere di Mazzarri e Sarri, così che la squadra possa – anzi: debba – esprimersi solo in un modo. Al netto dei risvolti relativi ai rapporti interni, Gattuso nel postpartita ha parlato di «giocatori che vogliono la palla sui piedi» e che «si sentono professorini». Ecco, dal punto di vista tattico ha dipinto uno scenario chiaro, c’è un distacco evidente tra le varie parti della rosa: alcuni calciatori parlano una lingua, altri non la comprendono e camminano in altre direzioni.

In virtù di tutto questo, Gattuso deve fare una scelta chiara, che vale la stagione del Napoli – soprattutto nelle partite contro le avversarie più forti. Se ha intenzione di costruire una squadra che pratica un solo tipo di calcio, qualunque esso sia, non può (più) assegnare un ruolo di primo piano a quegli elementi che non aderiscono totalmente a quella idea. Altrimenti, può costruire una squadra ibrida come la rosa, cioè in grado di cambiare i propri principi di gioco per ogni partita. Più volte all’interno della stessa partita. Altrimenti l’equivoco di una rosa ibrida finirà per travolgere anche lui.

ilnapolista © riproduzione riservata